Torino 9/3/2005

 

 

 

SOCIETA’ REGIONALE PIEMONTESE DI PSICHIATRIA DEMOCRATICA

 

Stato dell’arte dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, osservazioni sull’organizzazione dei Dipartimenti di Salute Mentale e proposte di programma, a cura di Psichiatria Democratica Piemonte.

 

La promozione e la difesa della salute mentale si sono espresse dalla seconda metà del secolo scorso come critica pratica della psichiatria manicomiale e come rivendicazione di autonomia dal potere psichiatrico. Pure in presenza di contrasti e di arretramenti, le linee di sviluppo si muovevano nella direzione del trasferimento delle risorse dalle istituzioni dell’esclusione al territorio ed alle sue contraddizioni visibili e come valorizzazione del privato sociale e dell’associazionismo tra utenti.

 E’ chiaro che questa direzione correva su binari assai diversi da quelli percorsi dalla logica del mercato della medicina e della sua privatizzazione. Le riflessioni di Michel Foucault e l’opera appassionata di Franco Basaglia hanno contestualmente messo in luce le relazioni di potere nella identificazione e sequestro delle diverse forme di sofferenza mentale con il pretesto di “curarle” mentre in realtà si trattava di conformarle all’ordine costituito, disinteressandosi della sofferenza reale e del disagio sociale diffuso ad essa collegato.

 Di fatto le trasformazioni che nel nostro Paese Franco Basaglia ed il movimento di Psichiatria democratica hanno realizzato per contrastare la violenza dell’istituzione manicomiale e quella dell’organizzazione sociale hanno rappresentato una visibile ed efficace risposta alla crisi del paradigma psichiatrico nato con l’affermazione della società industriale. Ma  la crisi non ha prodotto semplicemente la fine di un’egemonia culturale ed economica. Nei paesi industrializzati, la stessa logica di dominio e di esclusione si manifesta con la precarizzazione del lavoro, l’abbattimento delle protezioni sociali, la speculazione edilizia, le proposte di privatizzazione. E si manifestano, nel contempo, nuove “patologie” di cui nessuno nega la correlazione con il modello e lo stile di vita diffusi attraverso mass media (dipendenze da sostanze o da rituali, crisi di angoscia periodiche, “disturbi di personalità”, ecc.)  Il farmaco assume un ruolo dominante per la difesa della salute mentale, relegando gli interventi sul piano sociale a supporti insignificanti e mantenendo fuori dalla soluzione del problema la questione della democrazia sostanziale e della libertà dal bisogno. La crescita del numero dei soggetti che si presentano ai servizi di salute mentale si pone come un apparente limite al loro funzionamento. E’ sempre opportuno richiamare la scarsità delle risorse destinate alla difesa della salute da parte dei governi, tanto più che nel trapasso dalla soluzione manicomiale a quella territoriale si sono realizzati enormi risparmi che non  sono stati ricollocati per la salute mentale ma destinati ad altri usi. (Basti ricordare che in Italia per i manicomi nel 1977, anno precedente la riforma, era destinato il 6,7 % della spesa sanitaria mentre oggi si pone il 5 % come obiettivo desiderabile). Ma è sulla relazione tra servizi ed utenza che si deve porre l’attenzione, in particolare sul modello organizzativo e sullo stile di lavoro dei professionali. Sul primo punto: si è trasferito sul territorio un modello di stampo manicomiale, con porte chiuse, difficoltà di accesso, contenzioni fisiche, smistamento dei pazienti in luoghi lontani e chiusi che realizzano nuove/vecchie soluzioni segregative. Sulla professionalità: ciò che si apprende dalle università ha scarsa attinenza con i bisogni reali degli utenti, con la loro aspirazione a non essere discriminati e a poter sostenere il proprio punto di vista sia con i professionali che con le altre persone con cui entrano in contatto. Si rileva insomma che la riforma non ha mutato nei professionali, come sembrava ormai acquisito, il loro atteggiamento nei confronti dei diritti dei pazienti, la loro sensibilità verso il loro punto di vista.

Dentro la crisi della psichiatria istituzionale si sono rintracciati, nelle esperienze della riforma, aspetti significativi di relazione tra difesa/promozione della salute e critica degli aspetti specifici di dominio e di potere della pratica psichiatrica. Sono aspetti che oggi, nel nostro Paese, hanno perduto forza e capacità di incidere sulle trasformazioni organizzative dei servizi e, come abbiamo visto, anche nello stile di lavoro dei professionali. Tuttavia ciò non significa che non restino validi e che anzi si rinforzino nel crescere degli allarmi sul peggioramento degli esiti degli attuali interventi. Resta forte l’esigenza di un continuo confronto tra la politica istituzionalizzata e i movimenti di critica sui temi specifici, che fanno parte, in modo forte e resistente, della vita comune di tutti.

Più specificamente la rete dei Servizi organizzata nella nostra Regione si compone essenzialmente di Servizi Psichiatrici di diagnosi e Cura, di ambulatori psichiatrici, di residenzialità (comunità protette, gruppi appartamento).

 

Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), in quanto unico luogo aperto e disponibile sulle 24 ore e sette giorni su sette nell’ambito della rete dei Servizi di salute mentale, è altamente rappresentativo del funzionamento e dello stile di lavoro complessivamente adottato.

Inoltre, l’elevato utilizzo di personale medico e infermieristico per le finalità di ricovero e d’intervento urgente lo pone, all’interno del Sistema di salute mentale, in una posizione preminente che competerebbe invece ai Servizi Territoriali. D’altra parte, quando si opera in un sistema interdipendente, è necessario effettuare delle scelte programmatiche volte alla continuità operativa e cercare di evitare il più possibile un lavoro a compartimenti stagni non comunicanti.

 I DSM Piemontesi, a nostro parere, si presentano sistemi psichiatrici, chiusi al loro interno da una logica istituzionale rigida che non prevede o scarsamente prevede possibilità d’emancipazione degli utenti più gravemente portatori di disabilità psichiatrica.

La mancata emancipazione degli utenti ed il mantenimento di un circuito chiuso innescano il fenomeno della porta girevole ed il sistema diventa non più produttore di salute ma fonte di cronicità. Di conseguenza l’enfasi e le risorse sono spostate sui luoghi di ricovero di breve, media e lungo degenza: SPDC. Case di Cura Private Neuro psichiatriche, Comunità protette.

L’inflessibilità del sistema è più visibile nel luogo dove la contraddizione dell’agire psichiatrico è più evidente ovvero nel SPDC.

 

L’intervento psichiatrico praticato oggi nei SPDC Piemontesi, fatta eccezione per Il SPDC dell’ospedale Mauriziano e l’Ospedale Civile di Novara, fa riferimento a modelli di gestione istituzionale più volte messi in discussione dalle pratiche più moderne.

 

1.        La medicalizzazione esasperata dei problemi.

2.       L’attenzione prevalente alla diagnosi e al trattamento psico-farmacologico.

3.       Il controllo del comportamento con metodi coercitivi, talora anche fisici, traccia un solco profondo tra pazienti ed operatori.

4.       Un luogo dove le relazioni umane non sono favorite, ma regolate dallo scandire dei tempi istituzionali: la somministrazione delle terapie, l’ora dei pasti, le visite dei congiunti.

5.       Un luogo dove gli spazi a disposizione dei pazienti limitati e gestiti con la chiusura delle porte lasciano al paziente il corridoio o il letto.

6.       L’uso dei mezzi di contenzione fisica, mai condivisibile, come prassi consolidata e ritenuta terapeutica.

7.       La comunicazione limitata a dettare le regole rigidissime sulla libertà di movimento, sulla libertà di comunicazione.

8.       L’umiliante perquisizione a cui sono sottoposti all’ingresso i pazienti.

 

Una gestione che vede il Servizio come un contenitore chiuso nel quale esercitare in modo autoritario una opera di regolamentazione e di educazione del comportamento secondo modi che fanno parte dello logica della psichiatria tradizionale.

Inoltre gli SPDC costituiscono ormai un momento di passaggio per il paziente che in percentuale molto alta viene trasferito nelle case di cura convenzionate (Villa Cristina, Villa Turina etc. ) che negli ultimi dieci anni hanno avuto un forte rilancio con l’aumento dei posti letto. Trasferendo su un capitolo di spesa separato fondi che potevano essere meglio utilizzati per implementare il servizio pubblico. Le Casa di Cura sono diventate il bacino della lungo degenza.

 

Rapporti operativi con i Servizi Territoriali

 

 La gestione separata CSM/SPDC/Area Residenziale e il facile ricorso a strutture convenzionate favorisce la frammentazione dell’intervento ed impedisce l’attuazione di un piano di trattamento e di un progetto terapeutico efficace. L’urgenza territoriale, è spesso demandata al Servizio di Urgenza Psichiatrica che, completamente scollegato dai Servizi ordinari, nella migliore delle ipotesi contribuisce a frammentare l’intervento e nella peggiore delle ipotesi causa ricoveri impropri o interventi inutilmente repressivi, costringendo sia il DEA sia il Servizio Psichiatrico a dedicare tempo ed energie per attenuare i danni.  Il paziente in crisi è consegnato al SPDC ed i momenti di verifica comune sono assai ridotti. A parziale giustificazione della operatività dei Servizi Territoriali va detto che la scelta di concentrare le risorse nelle aree residenziali ha ridotto la loro capacità di intervento sia sul piano qualitativo sia quantitativo

 

 

Area Residenziale

 

La difficoltà nel dare risposte adeguate da parte dei Servizi Territoriali e la mancanza di opzioni e progetti di uscita dalle aree residenziali fa si che queste siano il terminale dove finiscono le persone che i Servizi Territoriali non riescono a gestire.

E’ ormai noto che le strutture psichiatriche sono luoghi in cui i pazienti sono ricoverati per lunghi periodi, anche di molti anni, con poche prospettive di dimissione.     

La tecnologia della riabilitazione psichiatrica ci dice che sono possibili programmi riabilitativi agili e dinamici sul piano organizzativo, a condizione che si cambi radicalmente direzione sia sul piano sull’organizzazione sia della modalità degli interventi. 

La maggioranza delle persone che sono oggi collocate nelle strutture protette e semi-protette dei DSM possono essere riabilitate e riportate a vivere in contesti di vita normali ovvero in appartamenti di civile abitazione a piccoli gruppi a condizione che si disponga di personale di supporto e si istituisca un programma particolareggiato di superamento delle attuali strutture e la riqualificazione professionale del personale a partire dai medici.

Sulla distanza tale programma risulterebbe molto meno costoso (basti pensare all’abbattimento dei costi alberghieri attualmente molto alti) e soprattutto più favorevole per la salute menale degli utenti dei Servizi di Salute Mentale.

Concludendo occorre precisare che la mancanza di dati epidemiologici, non esistendo più ormai da anni un osservatorio epidemiologico regionale, non consente di dare indicazioni utili ad affrontare i bisogni della popolazione che accede ai servizi ed impedisce una seria programmazione della risposta. 

 A cura del Dr. Luciano Sorrentino – Membro del Direttivo Nazionale della Società di Psichiatria Democratica. Direttore di Struttura Complessa Psichiatria ASL4 di Torino.