Comunicato stampa

 

Il sogno necessario - Una tavola rotonda e una rassegna cinematografica  a cura del GAPd

 

I film sono come la poesia, arte dell'illusione; con uno specchio adatto,

di una pozzanghera si fa un oceano (Josè Saramago, 1984)

 

"In questa mia dimensione di tenebra nella quale il futuro è già qui, ho sentito raccontare che le vostre mani sono insuperabili a dipingere carneficine e capricci.

...

In mezzo al quadro e bene in alto, fra nuvole e cielo, farete un vascello. Esso non sarà un vascello ritratto secondo il vero, ma qualcosa come un sogno, un'apparizione o una chimera. Perché sarà insieme tutti i vascelli che portarono la mia gente per mari ignoti verso lontane coste e negli abissi infiniti degli oceani; e insieme sarà tutti i sogni che la mia gente sognò affacciata alle scogliere del mio paese proteso sull'acqua; e i mostri che essa creò nell'immaginazione, e le favole, i pesci, gli uccelli abbaglianti, i lutti e i miraggi. E insieme sarà anche i miei sogni che ereditai dai miei avi, e la mia silenziosa follia. Alla polena di questo vascello, che avrà figura umana, darete sembianze che paiono vive e che ricordino lontanamente il mio volto. Su di esse potrà aleggiare un sorriso, ma che sia incerto o vagamente ineffabile, come la nostalgia irrimediabile e sottile di chi sa che tutto è vano e che i venti che gonfiano le vele dei sogni non sono altro che aria, aria, aria."

                         ANTONIO TABUCCHI, Lettera di Don Sebastiano de Aviz, re di Portogallo, a Francisco Goya, pittore.

 

Anche quest'anno il GAPd (Gruppo Astigiano di Psichiatria democratica cura, insieme al cinecircolo Vertigo,  una rassegna cinematografica su temi di salute mentale e società; lo scorso anno propose una indagine sul disagio nell'efficiente mondo scandinavo attraverso otto film in proiezione al cinema Nuovo Splendor e in collaborazione con il cinecircolo Vertigo e con Markku Salo, Finnish Central Association for Mental Health.

I film in rassegna saranno proiettati tutti i giovedì di maggio alle ore 21,15 presso il cinema Nuovo Splendor.

Una tavola rotonda presenta e anticipa la rassegna, mercoledì 2 maggio alle 21, alla Sala Pastrone, con il patrocinio del Comune di Asti, Assessorato alla Cultura, moderatore Paolo Perrone, giornalista.

Guide ad una discussione sul sogno necessario saranno Alessandro Meluzzi, psichiatra e Paolo Henry, docente di psichiatria sociale all'Università di Aosta.

L'intenzione della tavola rotonda sul sogno, come fuga o come prospettiva, il sogno come rifugio al male di vivere o come propulsione al cambiamento, è quella di suggerire una riflessione intimistica sul bisogno di vivere una realtà il più possibile aderente al proprio sé individuale e sulla incapacità, a volte, di adeguarsi all'esistente, ad un sistema già dato, a volte convulso e teso ad una sempre maggiore produttività che esclude il più debole.

E' però anche l'occasione per segnalare una nuova prospettiva possibile, generata dall'azione trasformatrice e creativa di ogni singolo individuo, ogniuno con il proprio sognare e progettare, quella di un reale cambiamento sociale.

Il tema verrà affrontato da un punto di vista introspettivo, sulla necessità per ogni persona di avere dei sogni e da un punto di vista sociologico, se è ancora possibile per le comunità inseguire sogni, senza farsi le figuracce strazianti di Don Sebastiano de Aviz, re di Portogallo e gli altri folli epigoni.

GAPd (Gruppo Astigiano di Psichiatria democratica). Per informazioni tel 333 2469519.

 

Tiziana Valente (tel 333 2469519 - 0414 208307)

 

Il sogno necessario. Cinque film sul bisogno di una nuova realtà.

3 maggio - L¹arte del sogno

10 maggio - Nuovomondo

17 maggio - La guerrra dei fiori rossi

24 maggio - La fiamma sul ghiaccio

31 maggio - In memoria di me

 

L'arte del sogno-Morto il padre messicano, Stéphane, un ragazzo che confonde realtà e sogno, arriva a Parigi dove, per intercessione materna, lo attende un lavoro creativo presso un'impresa che fabbrica calendari promozionali. Nel condominio in cui vive incontra Stéphanie.

La Materia dei sogni

Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni, e le nostre piccole vite sono circondate da un grande sonno.

William Shakespeare "La Tempesta"

La disinvoltura con la quale Stéphane passa dalla realtà al sogno, sintomo chiaro di un profondo difetto percettivo di cui il giovane è affetto, porta l'autore a ribadire che i sogni, i più terribili sono quelli che regalano al dormiente il sollievo della realtà e che quelli più dolci sono i veri incubi facendolo ripiombare nel baratro di una quotidianità che dice picche, con le sue assenze, le sue mancanze, i sentimenti frustrati, la sofferenza che attende dietro l'angolo: la scena finale del film, tra le più strazianti viste da tempo, suggella, con quell'amara carezza che l'amata elargisce allo Stéphane che si addormenta, tutta una poetica, un globale modo di vedere le cose e di viverle (l'amore è un sogno, alla lettera).

Il regista mette in scena il suo mondo caotico con stringente maestria, usa il decoupage con una consapevolezza e una funzionalità che ha pochissimi riscontri nel cinema contemporaneo, ha uno stile di rara pregnanza, che non vuol dire soltanto palese riconoscibilità della mano (non è poco) ma anche e soprattutto suprema capacità di modellare le immagini facendo scaturire da esse, sempre e comunque, il dato semplice dell'emozione, della semplicità del sentire dei protagonisti che animano la scena; anche in questo senso The science of sleep è uno scrigno zeppo di perle che riponiamo senza indugi nel nostro cuore.

 

 

 

Nuovomondo-Nella Sicilia degli inizi del Novecento, Salvatore fa un voto e chiede un segno al cielo: vuole imbarcarsi per il nuovomondo e condurre in America i figli e l¹anziana madre. Il segnale è una cartolina di propaganda che ritrae minuscoli contadini accanto a galline giganti o a carote sproporzionate. Venduta ogni cosa posseduta, Salvatore lascia la Sicilia alla volta dell¹America. Durante la traversata oceanica incontra la bella Lucy, una young lady che indossa il cappello ed è più elegante della figlia del sindaco del paese. Luce parla la lingua dell¹America e cerca un compagno da sposare per ritornarci da signora. Salvatore, da vero galantuomo, accoglie la sua avance. Il lungo viaggio approderà ad Ellis Island, l¹isola della quarantena dove si decideranno gli ingressi e i rimpatri.

l film è bello e parla della fatica dei sogni quando questi diventano percorsi. Il passaggio all¹America si compie nel sogno che prende forma per uno, mille personaggi che lasceranno la terra ed approderanno in nuovi luoghi. Che il passaggio si compie nel sogno e nel latte è una bella immagine che fa pensare ai cambiamenti quando diventano possibili.

Salvatore Mancuso scopre solo quando sta per lasciare Ellis Island per andare all¹America che realizzare un sogno significa separarsi: ora si capisce tutto il film! sin dall¹inizio che si fa fatica a lasciare la propria terra, le bestie. Prima di partire bisogna liberarsi dalle serpi che ti possiedono nel corpo e, infatti non sei tu a poter prendere la decisione.

 

 

La guerrra dei fiori rossi-Alla tenera età di due anni, Qiang viene mandato in un asilo nido a tempo pieno. Fino a quel momento era stato allevato dalla nonna, che ammalatasi, non può più badare a lui. Qiang è ammesso alla classe dei più piccoli, 40 bambini fra i 2 e i 3 anni. Il primo giorno di scuola incontra Beiyan, una bambina che ha il letto di fianco al suo e che diventerà la sua migliore amica. Dopo pochi giorni Qiang è già diventato l¹incubo delle maestre. Bagna il letto, fa il prepotente con i più piccoli, specialmente le bambine, e in classe non riesce a stare fermo un minuto. Eppure la sua ribellione è vitale: è vittima dell¹incomprensione e della volontà di controllo dei grandi. L¹ultimo giorno di scuola, un eccitato Qiang si vanta con i bambini più piccoli del fatto che sta per andare alle elementari e che tra poco sarà finalmente libero. La maestra gli dice ³Non essere così contento di andartene. Ti ricorderai gli anni all¹asilo come i più felici e spensierati della tua vita. Ma non potrai tornare indietro, anche se lo vorrai. Quando sarai grande capirai².

Come quello del regista, anche il suo è un grido contro la follia del sistema. Una denuncia che in un primo momento si snoda come successione di rocambolesche disavventure. Gradualmente prende poi corpo la sua parabola: scopre l'amicizia con la piccola Nanyan, fa proseliti per la causa della ribellione, ma proprio quando i germi della rivolta sembrano attecchire, conosce anche la durissima repressione.

 

 

La fiamma sul ghiaccio-"La fiamma sul ghiaccio" di Umbero Marino: l'alienazione dai sentimenti nel Disturbo di Asperger (Gabriele Giacomini)

Non è certo la prima volta che il tema delle sindromi autistiche e dissociative ricorre nella cinematografia. In questa scelta si può riconoscere innanzitutto il coraggio di contribuire al superamento, grazie anche alla diffusione dei mezzi divulgativi, di quel limite discriminatorio tra sanità e follia, normalità e patologia, favorendo un¹approssimativa "comprensione" del disturbo mentale. Questo intento corrisponde anche allo spirito delle più recenti correnti psicoanalitiche e socioculturali, che si propongono proprio di varcare le tradizionali barriere cliniche, dichiarando accessibili a terapie dialogiche anche i più gravi disturbi psichici.

Da un punto di vista rigorosamente scientifico, si potranno naturalmente rinvenire molti limiti nella ricostruzione di questi casi clinici; seppure si riportino, infatti, con una certa fedeltà documentaria, i sintomi caratteristici di questi stati patologici e le circostanze più frequenti della loro insorgenza, non si può evitare che le esigenze di spettacolarizzazione portino talvolta ad un¹artificiosa logica narrativa (come in un puzzle in cui ogni casella deve necessariamente trovare la propria posizione) ed esiste il rischio che tali racconti siano tanto suggestivi quanto clinicamente poco credibili.

Protagonista di "La fiamma sul ghiaccio" (titolo che evoca immagini alquanto barocche) è Fabrizio (Raoul Bova), un giovane docente universitario di matematica affetto dal Disturbo di Asperger. Sua madre non avrebbe mai accettato cercato di affrontare il problema della sua diversità, finendo per incentivare e valorizzare di lui proprio quelle qualità intellettuali e capacità matematiche esageratamente coltivate, con l'ossessiva astrazione tipica della sua malattia.

L'isolamento di contenuti affettivi ed istintuali, l'astrazione, la sublimazione, sembrano, in tali casi, difese estreme contro l'angoscia, attraverso forme di controllo minuziose e coatte.

Il rapporto con la madre è solo accennato nel film, anche se in numerose correnti psicoanalitiche, come ad esempio il modello delle relazioni oggettuali, la psicologia del di Kohut e l'approccio interpersonale-relazionale di Sullivan e, in seguito, di Mitchell, questa disomogeneità dello sviluppo cognitivo ed affettivo sarebbe riconducibile, in gran parte, a modalità conflittuali o deficitarie nell'ambito della relazione originaria con la figura materna.

Dopo la morte dei genitori in un tragico incidente d'auto, mentre Fabrizio era al volante (sempre per l'imposizione della madre a gestire una vita normale), forse è proprio il senso di colpa a far precipitare il suo quadro clinico, sgretolando quel suo precario adattamento sociale e dando luogo così alla sua compromissione nell'interazione sociale e allo slatentizzarsi dei suoi conflitti irrisolti.

L'interpretazione di Bova sembra convincente, con la sua fissità stralunata, la sua mimica facciale inespressiva e mai collegata all'immediatezza emotiva, con gli occhi stretti in una dolente fessura; sembra evidente il distacco del protagonista dal mondo esterno, espresso anche con un'incoordinata rigidità in ogni movimento ed attraverso un esasperato rituale di manierismi, ripetizioni, stereotipie.

La giornata di Fabrizio è scandita da abitudini ferree, orari perentori e dalla sua tendenza a quantificare ogni realtà, nell'illusione di combattere e difendersi dai sentimenti attraverso una spersonalizzata e rigida matematizzazione. Dopo la morte dei genitori, è il fratello a farsi carico della sua assistenza, pur non convivendo con lui, cercando di provvedere a tutte le sue esigenze cliniche e pratiche, ma senza sapergli trasmettere quello slancio affettivo personalizzato, che peraltro Fabrizio sembra incapace di percepire e di richiedere.

Un giorno egli incontra casualmente in ospedale Caterina, una giovane disadattata, vittima di un triste passato di abusi sessuali paterni, che hanno lasciato pesanti tracce nella sua stabilità psichica. L'immagine di questa ragazza, fragile e forte nella sua ostinazione amorosa, è molto intensa e suggestiva, grazie anche alla valida interpretazione di Donatella Finocchiaro; la paziente sembra rispondere ai criteri del Disturbo Borderline di Personalità, vista la sua pervasiva instabilità delle relazioni interpersonali, l'impulsività, la labilità affettiva e soprattutto i suoi disperati sforzi per evitare l'abbandono della persona amata, che determinano anche la comparsa di transitori episodi dissociativi. Si può facilmente cogliere il senso della sua bramosia di un amore che, finalmente, la riscatti dalla violenza subdola del suo passato e da quel senso di indegnità che le ha lasciato la sua adolescenza inquinata. La sua vita è un continuo susseguirsi di periodi di "normalità", in cui è salvaguardata una comunicazione empatica con le figure che la circondano, e da altri caratterizzati da crisi pantoclastiche ed autodistruttive, in un alternarsi di "fiale blu", presumibilmente sedative (per fronteggiare incubi rappresentati da sequenze horror e cimiteriali) e "fiale rosse", antidepressive (che consentono l'accesso di immagini idilliache, con giardini lussurreggianti e volti di bambine e giovani donne festose).

L'immediato innamoramento per Fabrizio sembra avere su Caterina la stessa potenza di un antidoto alla depressione, e subito il giovane è inserito in questo suo giardino interiore, non contaminato da tante vicissitudini, intatto e rassicurante. Caterina riconosce la malattia di Fabrizio, non la nega a se stessa a lui, ma lo ama anche per questo e idealizza la bellezza del suo volto, anche se reso caricaturale dal suo stato morboso. La sua diversità gli appare come un dono che lei sola sa scoprire, anche agli occhi di lui.

Il giovane dapprima fugge spaventato gli approcci sempre più ostinati della ragazza, ma poi questo turbine di sentimenti riesce a far breccia nella sua antica barriera difensiva. I suoi occhi-fessura riescono, pur a fatica, a focalizzare questa esile e potente figura, capace di sprigionare emozioni dirompenti, che sconvolgono improvvisamente tutte le abituali difese, consentendogli parzialmente un inedito contatto con i sentimenti. Caterina, a differenza della madre, sembra permettergli di rispecchiarsi in lei per ciò che realmente egli è, e di accettarsi attraverso il suo amore.

La colonna sonora del film, composta da brani conosciuti e inediti su temi amorosi, sottolinea la normalità-anormalità universale degli innamorati di qualunque condizione, con il loro immaginario di alienante follia, in cui l'amore è, al tempo stesso, causa e terapia del male. L'introduzione di queste melodie tende però spesso a banalizzare i contenuti del film, nonostante il suo intento di fare da ponte tra queste realtà.

Nel film si registra, inoltre, l'eccessivo uso di un simbolismo, a volte di maniera, per cui si assiste ad una continua commistione tra le simbologie impiegate per esprimere il mondo inconscio-fantastico dei protagonisti e quelle personali del regista, che sembra abusare con enfasi gratuita di questo gioco estetizzante.

 

Resta comunque, come significato ultimo del film, l'apologia di un amore semplice ed autentico, quanto improbabile, nel chiaroscuro dei suoi timori e del suo splendore, che comunque conferisce connotati sognanti anche alle piccole quotidianità. Si manifesta così la trepidante attesa del miracolo: quello di una vera comunicazione, che può esistere tra sani e tra malati, e forse può durare solo istanti, ma che valgono un'eternità.

 

 

In memoria di me-E' la storia del giovane Andrea, stanco della vita condotta fino ad oggi e bisognoso di trovare una dimensione esistenziale, il quale tenta la via della vocazione e rinuncia al mondo entrando in un noviziato di gesuiti... Ma prima dell'ordinazione i dubbi e le perplessità sono molti, e il confronto con gli altri suoi compagni e con l'istituzione ecclesiale produrrà uno stato di tensione difficile da gestire. Decidere che direzione dare alla propria vita continua a rimanere un'impresa ardua, come riuscire a risolvere il dissidio?

Sempre più isolato e duro Andrea viene costretto alla riflessione dalle osservazioni di Zanna, secondo il quale non si può esser uomini di Dio senza agire mossi da Amore. Il padre superiore invece insegna la rinuncia, anche a certa umanità, per farsi perfetti strumenti con i quali interfacciarsi con i fedeli. Alla fine il dissidio resterà aperto, senza una soluzione, come inevitabile. La risposta ognuno la troverà nel proprio rapportarsi con il proprio ruolo: Andrea restando all'interno del monastero e della vita chiesastica, Zanna uscendone e portando il suo amore nel mondo esterno.

 

L¹iniziazione alla vita religiosa può essere la metafora di qualsiasi grande scelta di vita che comporta un impegno e una fedeltà che durano nel tempo, e una verità senza sconti su se stessi. La storia comincia con l¹entrata in noviziato di Andrea, un ragazzo come tanti ma più dotato degli altri, con un¹ambizione pari ai suoi doni. Il mondo finora lo ha solo premiato, ma ad Andrea non basta un successo banale, vuole andare oltre, verso un assoluto senza chiaroscuri, che valga la pena scambiare con la libertà apparente della sua generazione.

Il silenzio, le regole della casa, la vita in comunità, lo studio, l¹accompagnamento spirituale che trova nell¹isola dov¹è il noviziato lo fanno entrare in un percorso straniante, teso come un thriller. Andrea si trova di fronte al primo vero incaglio della sua vita: una porta misteriosa che non riesce a varcare, confine del confronto tra sé e i suoi compagni, tra sé e l¹altro se stesso. La prova gli fa scoprire drammaticamente chi è lui davvero, in una nudità cruda e sconvolgente dall¹esito imprevedibile.

 

"In memoria di me": Ama e fa cio' che vuoi?     

Costanzo si propone come fenomeno decisamente spiazzante nel panorama 'nuovo' nostrano. Oggetto misterioso e sotto osservazione sin dal suo apparire e evento premiato alla prima prova - quel "Private" che tanto divise e colpi' - si presenta ora, e in concorso a Berlino, alla tappa nodale dell'Opera Seconda. Ed e' una nuova sorpresa. un film difficile, per tutti, una storia divisa e che divide, per codice genetico. Difficile nella sua gravita', non alleviata dalle interpretazioni (pur notevoli in un paio di casi) e che rivela nelle pieghe piu' 'filosofiche' la sua maggior potenzialita' di trasmissione al pubblico. Tratto da "Il gesuita perfetto" di Furio Monicelli. ecco un film religioso, inevitabilmente cattolico, per temi ed ambientazioni, e istituzionale, ma che nella apologia nasconde il suo stesso rovescio. Il dubbio e la legittimita' dello stesso sono un pericolo, ma anche un rasoio da superare per farsi 'servi', strumenti, di un insegnamento di rinuncia non per tutti e che lascia aperti interrogativi sul binomio ragione-sentimento. L'Ordine e' centrale, e qui e' la prima ambiguita', lessicale e logica, di un film che gode del farne anima della propria struttura. Un ordine, religioso, che testa e che e' testato, che fa della delazione un mezzo necessario e un habitus da inculcare ai novizi, ma che insieme vive di menzongne, con naturalezza, integrandole in un percorso educativo per il quale tutto e' permesso in nome di un fine superiore. Ma Gesu' e' amore, e' studio, e' interpretazione? E chi lo rappresenta deve essere messo o esegeta? Il film esce da tutto questo ed e' inevitabile che la sensibilita' e la educazione di ciascuno ne facciano brandelli o spunto di riflessione.Difficile uscirne. Lo stesso Costanzo si rifugia nell'umanita' dei suoi personaggi, nell'impossibilita' di dare risposte e definizioni, ma e' ancora piu' stimolante (salvo un 'colpo di coda' finale, fin troppo didascalico) vedere e confrontare le diverse anime di questi 'soldati della fede', o presunti e aspiranti tali, e le loro necessita' e fughe, il motore delle loro azioni, la ricerca di identita' proprie, l'esigenza di completezza, a ogni costo, pur di sentirsi esseri umani, prima di/grazie a/nonostante qualsiasi entita' superiore.  (Mattia Pasquini)

 

 

Dall'opuscolo che accompagnava la rassegna dello scorso anno:

 

 

Il grande freud

Rassegna sul cinema del nord Europa

2006

 

I film di questa rassegna potrebbero essere letti come una metafora del disagio che gli individui avvertono nelle nostre moderne società occidentali, del non sentirsi adatti, del desiderio di riscatto alla vita, della vita. Ognuno di noi però vedrà quello che occhi, cuore e cultura suggeriranno di vedere: un paesaggio scandinavo, un diverso modo di affrontare la vita, discorsi universali.

Forse Nòi è l¹uomo costantemente in fuga da se stesso, gli schiavi di Manderlay catalogati e liberati ma sottoposti alla solita legge del teatro della vita sociale sono gli esclusi di sempre, i personaggi di ³L¹amore non basta mai² sono gli eterni scontenti di una vita di provincia, le ³Storie di cucina² raccontano l¹universo piccolo di piccoli uomini senza ruoli alla scoperta dell¹amicizia,...

La nostra partecipazione alla cura di questa rassegna non è stata però motivata tanto dai contenuti, che rappresentano quel mondo ³freddo², ordinato e chiuso a noi lontano ma da qualcuno desiderabile perché rassicurante ed efficiente, quanto da una riflessione sul linguaggio che comunica, cosa che questa nuova cinematografia ci sembrava sollecitare egregiamente.

Una riflessione  sul bisogno di parlare, comunicare utilizzando tutti gli strumenti ed i toni, da quello descrittivo o già pieno di giudizi (e pregiudizi) della maggior parte dei film di questa rassegna all¹alta poesia di ³Elling². Una riflessione su di noi, immersi nel perbenismo nella nostra cittadina di provincia, nella tensione ad apparire e non ad essere, nel disagio di non avere un lavoro o averlo precario, non un ruolo che ci consenta di essere riconosciuti, noi che non vogliamo vedere tutto questo, né vogliamo sapere che i nostri amici sono da mesi chiusi nel reparto di psichiatria dell¹ospedale civile o in comunità dove sostano anche per anni ed escono solo per continuare ad essere ³diversi²,  segnati per sempre da diagnosi psichiatriche che catalogano come depresso, borderline, ossessivo compulsivo, cronico.

Una riflessione sulle possibili vie d¹uscita da quel mondo nel quale ognuno di noi può venirsi a trovare in qualunque istante, per un accidente o per cosuetudine di uno stile di vita.

Noi crediamo che una possibile via sia un approccio costantemente critico e creativo alle cose che capitano, un dialogo fruttuoso di cambiamento nel rispetto dei linguaggi che ci rappresentano e dei diritti dell¹altro,  il diritto alla salute, ad esempio, non sottoposto alle leggi di mercato e del profitto con le quali anche le Asl fanno i conti e, in risposta al bisogno di cura, ridare potere alla persona sull¹ambiente, sul proprio tempo, sulla parola.

Forse potremo essere meno perbene, meno nordicamente efficienti, ma illuminati dal pensiero che sentirsi cronicamente non adatti non sempre vuole dire essere disadattati, disabili,  ma qualche volta solo diversamente critici.

 

GAPd

(Gruppo Astigiano di Psichiatria democratica)

 

 

 

Società e salute mentale

Cari lettori, gli organizzatori di questa rassegna cinematografica mi hanno affidato il compito, per certi versi impossibile, di prepararvi in qualche modo alle tematiche affrontate nei film presentati. Non sono né un critico cinematografico né tantomeno un esperto di cinema scandinavo.

Dunque, immagino che, rispetto a voi, io abbia la parte più tosta del gioco, dovendo cercare di rispondere alla domanda insidiosa se esista o no una relazione tra disagio sociale e disagio mentale mentre voi cercate di figurarvi le realtà scandinave attraverso questi film e specialmente attraverso lo strano humour carico d'ironia in Elling.

Dovrei semplicemente affermare che c'è senza dubbio una ben nota correlazione, verificata in molti ambiti scientifici, tra le nostre realtà mentali e sociali e i problemi? O dovrei lasciare che troviate da soli la risposta mediante i film che andrete a vedere e sui quali rifletterete?

 

Al momento sto facendo una serie di ricerche su persone che vivono in luoghi che in italiano vengono definite Strutture Intermedie.

Alcune di queste persone vivono come Elling e il suo compagno, altre vivono ancora all'interno di strutture di carattere più istituzionale, altri ancora vivono già per conto proprio. Le loro storie esistenziali presentano una correlazione sorprendentemente forte tra alcol, (ab)uso, divorzio e malattia mentale. Nella maggior parte dei casi, a precedere questi disagi sono la povertà, la disoccupazione e la difficoltà a trovare il proprio posto nella società.

Ciò che più mi sorprende, in questo momento, è come le storie esistenziali trovano le proprie origini nelle generazioni precedenti.

La vita di queste persone, se ha un destino, procede però senza una destinazione.

Un Elling 2, una storia che continua, alla moda americana, sarebbe praticamente inimmaginabile, o perlomeno più facile da ipotizzare come finzione.

Come mai? La vita di una persona è il suo destino, è un libro già scritto? Destinata da chi o da cosa? Scritto da chi?

Mettiamola in questo modo. Non credo che nelle società moderne la quantità totale di sofferenza mentale possa essere eliminata, e neppure diminuita in modo significativo, per quanto dette società siano democratiche o presuppongano la partecipazione o che altro.

 

Come è possibile redistribuire la ricchezza delle nostre opulente economie, gli oneri della nostra occupazione, le gioie delle nostre attività sociali e anche le sofferenze causate dalla difficoltà di trovare noi stessi?

Sono queste le domande che dobbiamo farci.

Non: essere o non essere! Ma: come convivere con noi stessi e con gli altri, inevitabilmente fragili, vulnerabili, e come essere circondati da sentimenti di gioia, solidarietà e discrezione o, meglio, pudore!

Non credo che il problema sia chiarire cosa è o non è la malattia mentale e quale la sua eziologia, quando capiamo che la definizione di malattia non è che un costrutto mentale che si svolge all'interno dei contesti sociali (in gran parte per sostenerne la governabilità ed il controllo).

La sofferenza mentale potrebbe essere considerata un fatto naturale o psicologico, ma l'ordine del problema è un altro.

 

L'arma a doppio taglio dello stato sociale scandinavo è stata quella di garantire la sicurezza e un'entrata minima praticamente a tutti, e fornire assistenza sociale e sanitaria, comprese le cure psichiatriche e la riabilitazione ai "bisognosi", come li chiamano coloro che difendono questo sistema.

Il contesto sociale dello stato sociale scandinavo determina (pre-scrive) il futuro di molti cittadini come bisognosi di assistenza pubblica e di pensionamento anticipato, in base a una diagnosi psichiatrica. Per esempio, in Finlandia, su una popolazione di 5,2 milioni di abitanti più di 120.000 finlandesi appartengono a questa categoria e si assiste ogni anno a un aumento di circa 8.000 "pensionati psichiatrici" in giovane età.

Per molte di queste persone, dopo decenni di lotta con il sistema assistenziale, con il lavoro, e con se stessi, la pensione anticipata diventa un sollievo.

 

Se sei fortunato, troverai un gruppo di auto-aiuto o qualche altro tipo di attività di gruppo. In questo modo sarai marginalizzato per la vita, non certo per il bene tuo.

 

Ma guardiamo l'altro lato della medaglia scandinava, la parte dorata delle varie Nokia e Ikea, il mondo del denaro e del mercato. Accanto all'uno per cento di un'elite, la vita lavorativa delle persone sta diventando, per usare il termine più appropriato, sempre più folle.

Questo è un momento storico paradossale: sempre meno lavoro occorre per produrre ricchezza, una ricchezza mai vista prima e che finisce nelle tasche di un numero sempre più limitato di individui.

Al contempo, la maggior parte dei cittadini delle cosiddette società civilizzate sofforno psicologicamente sia perché non vengono "usati" sia perché vengono eccessivamente abusati.

Le implicazioni politiche di tutto ciò sono evidenti. Ovvie, quanto ovvio è il tentativo delle strutture egemoniche di queste società consumistiche di nascondere tale ovvietà.

Il ruolo del buffone di Shakespeare, funzionale alla corte elisabettiana, oggi appartiene ai media, alla borghesia intellettuale e ai professionisti. E tuttavia, basterebbe soltanto un bambino coraggioso per mostrare che il Re non ha vestiti o che troppe delle vostre tasse finiscono nelle tasche del potente di turno. Un giorno coloro che governano le ricche società occidentali si troveranno nella stessa ridicola posizione del dittatore rumeno Ceaucescu -sì, fu solo poco tempo fa-, che considerava se stesso il solo a poter governare i suoi amati sudditi, quando essi si erano già trasformati in una soggettività collettiva smaniosa di cambiamento.

 

Come uno degli ultimi allievi di Basaglia su questo pianeta, dovrei concludere con una sua citazione. Ma non sono obbligato. Piuttosto, vorrei ricordarvi l'importante testo di André Gorz, "Reclaiming Work" (Rivendicare il lavoro), dove scrive: "Il rimedio a questa situazione non è creare lavoro, ma distribuire in modo ottimale tutto il lavoro socialmente necessario e tutta la ricchezza socialmente prodotta". L'effetto di ciò sarebbe che le cose che il capitalismo ha combinato in maniera artificiale siano di nuovo separate: il diritto ad avere un reddito sufficiente, regolare, non dovrà più dipendere dall'occupazione permanente, dall'avere un lavoro fisso.

 

Il bisogno di agire, lottare ed essere apprezzati dagli altri non dovrà più prendere la forma del lavoro pagato svolto su ordinazione. Un simile modello lavorativo prenderà sempre meno tempo nella società e nella vita di ciascuno. La gente potrà occupare il proprio tempo con un'ampia gamma di attività che non abbiano come condizione necessaria o come obiettivo la logica del profitto.

Il tempo occupato dal lavoro cesserà di essere il tempo sociale dominante.

 

Allora, e solo allora, avremo tempo in abbondanza per guardare e produrre film!

 

Vi auguro di godervi i film e i momenti di riflessione che li anticipano!

 

            Markku Salo

Finnish Central Association

for Mental Health, Finlandia

 

 

 

 

 

Comunicato stampa

 

"Il sé come racconto", incontri propedeutici per una narrazione autobiobrafica e le altre iniziative del Gruppo Astigiano di Psichiatria democratica alla Cascina del Racconto in Via Bonzanigo 46 ad Asti.

 

Dopo gli incontri su "La poesia come rappresentazione del proprio mondo interno. Giochi, strumenti e metodi", con la dott. Francesca Valente, il GAPd sviluppa il progetto "Il sé come racconto" proponendo alla Cascina del Racconto in via Bonzanigo 46 ad Asti il ciclo "Il teatro e l¹espressione delle proprie emozioni". Nei mesi di gennaio e febbraio si sono svolti i due gruppi sulla respirazione yoga (Paola Roselli Grillone) e sull'emissione della voce (Gianfranco Violato).

 

 

Il desiderio di raccontare è un impulso umano, un impulso carico di umanità. In alcune tribù raccontare storie viene considerato un modo per curare, una salvezza possibile (Marcela Serrano)   

 

La finalità del progetto "Il sé come racconto" è quella di offrire strumenti per rievocare ricordi, fatti,  sensazioni, persone che nella nostra vita sono state importanti. Ciò assume rilevanza in quanto archetipo del viaggio, quello che si compie dentro se stessi per riflettere sul significato di alcune esperienze, per dare loro una forma, per conoscersi meglio e per riappropriarsi dei propri vissuti emotivi e affettivi. Lo scopo di queste giornate, dunque, è quello di incontrarci per raccontare qualcosa di noi stessi attraverso modalità di espressione verbali, corporee e artistiche.

 

Nel corso del ciclo "Il teatro e l'espressione dele proprie emozioni" , guidato dalla dott. Danila Boero,  le narrazioni autobiografiche saranno sollecitate attraverso il ricorso alla memoria del corpo, in specie per mezzo di uno dei cinque sensi: la vista. Ai partecipanti sarà chiesto di scegliere, fra gli oggetti presenti nella stanza, quello che meglio si presta alla rievocazione del ricordo.

In seguito, le persone che avranno raccontato qualcosa di sé saranno invitate a svolgere alcuni esercizi d¹improvvisazione. Il materiale di base per la costruzione delle scenette sarà costituito dagli oggetti prescelti e dalle narrazioni a essi riferite. I vari racconti, dunque, serviranno a comporre la struttura della scena e saranno il frutto della collaborazione fra i partecipanti.

Perché esprimersi attraverso l¹improvvisazione teatrale?

In primo luogo perché il teatro rappresenta una forma di contaminazione e di completamento della modalità di espressione verbale. La parola, infatti, non è il solo strumento di narrazione ma appare strettamente correlata con altri codici di comunicazione come quello espressivo-gestuale. La parola s¹intreccia con il gesto e con le forme di espressione non verbale e ha un substrato affetivo e relazionale. Nella comunicazione, dunque, intervengono diversi elementi e può essere utile e interessante intersecarli fra loro. L¹improvvisazione è un modo per mettersi in gioco in un contesto protetto, confrontandosi con le proprie paure e con i propri limiti, nella prospettiva di un loro superamento. Il teatro, in generale, rappresenta uno strumento di conoscenza del sé, perché consente di liberarsi delle sovrastrutture mentali che inibiscono o limitano i rapporti interpersonali, apre gli orizzonti della mente, permette la condivisione, il confronto e lo scambio di opinioni con i propri compagni. Improvvisare un¹azione scenica, infine, è un modo per dare spazio all¹espressione artistica del proprio mondo interno. Ciò consente da un lato di aumentare la consapevolezza delle proprie potenzialità creative, dall¹altro lato di ricavare del materiale utile in una prospettiva di collaborazione, fra i partecipanti, a un obiettivo comune: la conoscenza di sé e la condivisione delle proprie esperienze di vita.

 

 

 

I seminari interattivi sulle emozioni guidati dal Dott. Silvio Quirico sono dedicati ad indagare le emozioni ed i bisogni relazionali di base come l'attaccamento, l'autonomia, l'identità, il benessere, l'auto-affermazione, senso e significato della vita e proseguono con il seguente calendario:

venerdì 11 maggio, venerdì 8 giugno alle 21.

 

Tutti gli incontri, guidati da psicoterapeuti, scrittori, poeti e professionisti esperti di comunicazione, sono aperti al pubblico e sono gratuiti.

 

Rimane aperto il servizio di counselling familiare gratuito con la dottoressa Barbara Ghia, telefonando al numero 338/2706910.

 

Per informazioni sul GAPd e le sue iniziative telefonare al 333 2469519.