Il Mattino – Napoli 9 settembre 2005 (pag. 9)
Intervista a Emilio Lupo
L’INTERVISTA
“Desiderare la morte, reazione
da madre”
Lo psichiatra Lupo:basta con gli specialisti dei lutti.
di Daniela Limoncelli
Un black
out. Così Christina Rainer ha definito quel terribile momento in cui ha dato la
morte al proprio piccolo figlio. Un corto circuito impossibile per lei da
prevedere, da frenare,da fermare. Poi, il momento della consapevolezza da mamma
dell’orribile gesto in quel tentato suicidio.”Dobbiamo farci tutti carico della
sofferenza. Queste storie nella loro tragedia ci mettono di fronte alla forte
umanità delle persone sofferenti – in questo caso la consapevolezza dell’essere
madre – nella disumanità degli atti. Quando accadono queste tragedie, molti
pensano di trovarsi davanti a dei “mostri” e, invece, bisognerebbe capire che
non è così”. Emilio Lupo, Segretario Nazionale di Psichiatria Democratica, non
ci sta con le facili “diagnosi” bruciate dai mass media sull’onda delle
tragedie “ogni storia – dice – è una storia a sé che per essere compresa non
deve essere avulsa dal contesto nel quale si sviluppa.
Tanti nell’ultimo anno i casi di
mamme che ammazzano i propri figli…
“
L’interpretazione più facile per spiegare queste tragedie è quella che si
tratta di donne che si sentono inadeguate nel ruolo di madre. Ma ogni persona è
un mondo a sé, un universo complicato. E consumare in fretta queste notizie
drammatiche individuando,guarda un po’ sempre a posteriori, i segnali del
malessere delle autrici di questi gesti o dispensare facili diagnosi e terapie
non aiuta nessuno, non serve a riflettere”.
C’è l’ha con i mass media?
No, ma
credo che è ora di finirla con la “psichiatria dei lutti” con la corsa a
spiegare la “zona grigia” o a fornire soluzioni tout court. La questione è
capire fino in fondo, che dentro queste “notizie” ci sono delle persone e,
quindi,invece di dare analisi brillanti bisogna iniziare a farsi carico, con
grande umiltà, del problema più generale della sofferenza della gente”.
Ma ci sono segnali che avvertono
quando la persona sofferente è vicina al black out, che possono aiutare
familiari o amici a prevenire queste tragedie?
“ Sarebbe
ora che il problema fosse affrontato in modo più articolato. Non si può in
questi casi gettare la colpa di quanto accaduto sulle spalle di chi vive al
fianco della persona sofferente. Queste tragedie dovrebbero spingere verso una
salute mentale vista come un problema collettivo. Dobbiamo creare, al fianco di
servizi specifici polivalenti ed efficienti,una salute mentale basata sulla
comunità”.
E come?
“ Gli
strumenti della scienza, che sono fondamentali,debbono affiancarsi ai saperi di
confine e alla collettivizzazione del problema. Non basta pensare che siano
sufficienti strumenti tecnici o chimici, ma ci vuole da parte di
tutti,specialisti a parte, una maggiore disponibilità all’ascolto, a capire
l’altro partendo dalla sua realtà specifica per poi lasciarsi coinvolgere.
Quanti – e non si tratta solo di mamme – esprimono un disagio esasperato, dall’anoressia
all’alcolismo, avvertono l’esigenza di una società accogliente che non sia
fatta di slogan ma che sia capace di rispondere al loro isolamento
e di
garantire una buona qualità della
vita.Tutti hanno una necessità: quella che sia alzato il livello di attenzione
nei loro confronti.Ascoltando di più si può prevenire”.