ORDINANZA N. 88
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO Giudice
- Massimo VARI "
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 222 del codice penale,
promossi con ordinanze emesse il 7 luglio 1999 dal Tribunale di
Caltanissetta nel procedimento penale a carico di L. G, iscritta al n. 625
del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n.46, prima serie speciale, dell’anno 1999 ed il 27 gennaio 2000
dal Tribunale di Cagliari nel procedimento penale a carico di A. F.,
iscritta al n. 108 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.12, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore
Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 7 luglio 1999, nel corso di un
procedimento penale nei confronti di persona imputata dei reati di tentato
omicidio e tentato furto aggravato, il Tribunale di Caltanissetta ha
sollevato, in riferimento agli artt. 27 e 32 della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 222 del codice penale, nella parte
in cui non consente al giudice di disporre, nei casi da esso considerati,
misure di sicurezza diverse dal ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario, che risultino adeguate alle condizioni cliniche del soggetto e
maggiormente idonee a garantirne il recupero psichico, nel rispetto delle
esigenze di tutela della collettività;
che l’ordinanza premette che l’imputato nel procedimento a quo era risultato
affetto da disturbi mentali tali da renderlo incapace di intendere e di
volere al momento del fatto e tuttora socialmente pericoloso, ove non
sottoposto a specifico trattamento sanitario (in particolare, ad "opportuni
controlli del servizio di salute mentale, supportati dalla somministrazione
di farmaci specifici e terapie psicologiche"): trattamento "di fatto" non
attuabile in una struttura psichiatrica giudiziaria "per mancanza di
operatori";
che, tuttavia — prosegue il rimettente — l’art. 222 cod. pen. non accorda al
giudice alcuna "facoltà di graduazione" della misura da applicare nel caso
di proscioglimento per infermità di mente, in correlazione alle particolari
esigenze dell’infermo, ma impone, senza alternative, il ricovero del
medesimo in un ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo non
inferiore a due anni: provvedimento, questo, che, per le ragioni indicate,
risulterebbe nella specie non adeguato alle condizioni cliniche
dell’imputato e confliggente con l’obiettivo del suo recupero;
che, in tale prospettiva, la norma denunciata si porrebbe in contrasto tanto
con il principio della funzione "di emenda", enunciato dall’art. 27 della
Costituzione in rapporto alla pena, ma riferibile, secondo il giudice a quo,
anche alle misure di sicurezza; quanto con il principio di tutela della
salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della
collettività, sancito dall’art. 32 della Costituzione;
che con ordinanza emessa il 27 gennaio 2000, nel corso di un procedimento
penale nei confronti di persona imputata del delitto di violenza sessuale
aggravata (artt. 609-bis e 609-ter cod. pen.), il Tribunale di Cagliari ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., questione di legittimità
costituzionale del medesimo art. 222 cod. pen., nella parte in cui non
prevede che la misura di sicurezza custodiale sia rigorosamente limitata ai
casi di pericolosità sociale accompagnata dal rifiuto di ogni terapia da
parte dell’infermo;
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che, alla stregua delle
risultanze processuali, l’imputato doveva ritenersi affetto da malattia
mentale atta a renderlo tuttora socialmente pericoloso;
che per la cura di tale malattia sarebbe peraltro opportuno che egli
rimanesse nella comunità terapeutica presso la quale è attualmente
ricoverato, al fine di proseguire il programma terapeutico e di recupero in
corso, rivelatosi soddisfacente e nei cui confronti l’infermo "non ha mai
mostrato segni di insofferenza": laddove, invece, il ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario — prescritto dalla disposizione impugnata —
risulterebbe pregiudizievole per la sua salute, provocando l’interruzione di
detto programma;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente —
richiamando la sentenza di questa Corte n. 324 del 1998 — rimarca come il
legislatore, con la legge 13 maggio 1978, n. 180, recependo le più recenti
acquisizioni della scienza e della coscienza sociale, abbia riconosciuto che
la cura della malattia mentale non deve attuarsi, se non eccezionalmente, in
condizioni di degenza ospedaliera, bensì attraverso presidi psichiatrici
extraospedalieri, e comunque non mediante la segregazione dei malati in
strutture chiuse quali le preesistenti istituzioni manicomiali;
che l’ordinamento penale — soggiunge il giudice a quo — non potrebbe
"ovviamente" non prevedere forme più ampie di coercizione e di segregazione
nei confronti dell’infermo di mente che, avendo commesso un certo tipo di
reato, sia anche "socialmente pericoloso";
che, in tale ottica, la misura di sicurezza del ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario sarebbe preposta, per un verso, ad attuare
coattivamente un trattamento sanitario nei confronti dell’infermo di mente
pericoloso e, per l’altro, a scongiurare — mediante la segregazione — il
pericolo di ulteriori aggressioni a beni penalmente tutelati;
che proprio tale funzione segnerebbe, tuttavia, il limite di legittimità
costituzionale della misura: l’ordinamento costituzionale non potrebbe
infatti tollerare limitazioni alla tutela della salute ed alla uguaglianza
dei cittadini davanti alla legge se non in quanto esse siano indispensabili
per la salvaguardia di beni protetti in modo paritario o poziore dalla
stessa Costituzione; sicché, quando tale salvaguardia possa essere attuata
con strumenti che non comprimano, o comprimano in modo meno energico, gli
altri diritti costituzionalmente garantiti, sarebbe compito del legislatore
di consentirne al giudice l’adozione;
che l’art. 222 cod. pen. contrasterebbe, quindi, sia con l’art. 32 della
Costituzione, in quanto impedirebbe — in ipotesi quale quella sottoposta
all’esame del rimettente — di curare l’infermo di mente nel modo più consono
e nelle strutture più adeguate alle sue condizioni, ancorché tali modalità
di cura soddisfino le esigenze di tutela della collettività; sia con l’art.
3 della Costituzione, in quanto discriminerebbe, senza necessità, il malato
di mente socialmente pericoloso da quello che non lo è;
che, d’altro canto, questa Corte ha già dichiarato costituzionalmente
illegittima, con la citata sentenza n. 324 del 1998, la norma denunciata
nella parte in cui prevede l’applicazione della misura di sicurezza del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario nei confronti dei minori: né
sarebbe concepibile, nell’ambito dei soggetti totalmente infermi di mente,
una differenza di trattamento basata sull’età, data la "dimensione
totalizzante" della loro malattia;
che, in base a tali considerazioni — deduce conclusivamente il giudice a quo
— l’art. 222 cod. pen. si sottrarrebbe a censure di costituzionalità solo
qualora la misura di sicurezza di tipo custodiale fosse "rigorosamente
limitata ai casi di pericolosità sociale accompagnata da accertato
atteggiamento dell’infermo di rifiuto di ogni terapia";
che in entrambi i giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per la dichiarazione di non
fondatezza delle questioni.
Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima norma, vanno
riuniti per essere decisi unitariamente;
che, tramite i quesiti di costituzionalità sollevati, i giudici rimettenti
chiedono in sostanza alla Corte interventi additivi di revisione della
disciplina delle misure di sicurezza applicabili nel caso di proscioglimento
dell’imputato per infermità psichica: interventi che — senza espungere in
toto dall’ordinamento la misura del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario (la legittimità costituzionale della cui previsione non viene
contestata in termini assoluti) — dovrebbero tuttavia comprimerne la sfera
operativa, permettendo l’adozione di misure alternative di cura del malato
di mente socialmente pericoloso, diverse dall’affidamento a strutture chiuse
e consone alle peculiarità del caso concreto;
che, al riguardo, deve peraltro ribadirsi quanto già in più occasioni
affermato da questa Corte: e, cioè, che simili interventi di innovazione
normativa esorbitano dai poteri della Corte stessa, in quanto comportano
scelte discrezionali rientranti nell’esclusiva competenza del legislatore
(v. sentenze n. 228 del 1999 e n. 111 del 1996; ordinanze nn. 333 e 396 del
1994; n. 24 del 1985);
che la varietà delle possibili soluzioni ed il carattere discrezionale della
relativa scelta sono confermati, del resto, dalla circostanza che i giudici
a quibus, muovendo da premesse fattuali e normative in larga parte
sovrapponibili, formulano richieste di contenuto sensibilmente
differenziato: attribuzione al giudice di una facoltà di "graduazione" delle
misure, nell’un caso; introduzione della condizione negativa della mancata
adesione dell’infermo al trattamento terapeutico, quale limite
all’applicazione di misure di tipo custodiale, nell’altro caso;
che, per quanto attiene alla prima ordinanza, il Tribunale rimettente sembra
far derivare, nel caso concreto, l’inidoneità dell’ospedale psichiatrico
giudiziario ad assicurare il trattamento terapeutico ottimale da una carenza
di natura essenzialmente organizzativa (la "mancanza di operatori"): carenza
dalla quale, peraltro, non potrebbe dedursi l’illegittimità costituzionale
dell’istituto in sé, ma — eventualmente ed al più — delle disposizioni che
ne regolano il concreto funzionamento (v. sentenza n. 139 del 1982);
che, riguardo alla seconda ordinanza di rimessione — fermo quanto osservato
dianzi — può registrarsi anche l’esistenza di un salto logico tra premesse e
conclusione del relativo iter argomentativo; resta, infatti, del tutto
indimostrato, al di là dell’ipotesi di specie, che le esigenze di tutela
della collettività (esigenze che lo stesso giudice a quo apprezza come
idonee a giustificare il ricorso a misure di tipo segregante) vengano meno
per il solo fatto che l’infermo di mente socialmente pericoloso "accetti la
terapia";
che, infine non è pertinente neppure il richiamo del giudice a quo alla
sentenza di questa Corte n. 324 del 1998, la quale non legittima affatto
l’illazione, che egli ne trae, dell’esigenza di una generale parificazione
del trattamento degli infermi di mente autori di reato, indipendentemente
dalla loro età: giacché, al contrario, la citata sentenza ebbe a dichiarare
costituzionalmente illegittimo l’art. 222 cod. pen. - nella parte in cui
prevedeva l’applicazione anche ai minori della misura di sicurezza del
ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario - proprio a fronte della
mancata previsione di modalità di esecuzione differenziate della misura di
sicurezza, che tenessero conto delle specifiche esigenze di tutela della
personalità del minore, affetto da infermità psichica, che vi è sottoposto;
che le questioni vanno pertanto dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9,
secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Cote
costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 222 del codice penale, sollevate, in riferimento
agli artt. 27 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Caltanissetta e, in
riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Cagliari,
con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta il 21 marzo 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2001.