Una
riflessione del Prof. Ernesto Venturini sulla sentenza definitiva della
Cassazione di condanna ad uno psichiatra, per l'omicidio perpetrato da un suo
paziente a Imola.
Nei giorni scorsi è stata emessa da parte della Corte di Cassazione una
sentenza di condanna definitiva senza precedenti: un medico psichiatra - il dr.
Euro Pozzi - è stato riconosciuto colpevole di omicidio colposo, in quanto
responsabile della condotta giudiziaria di un suo paziente.
A mio modo di vedere la sentenza, con tutto il rispetto per la magistratura,
è aberrante e in contrasto con le leggi vigenti.
Poche parole per rievocare un evento che fece molto scalpore a Imola,
circa sette anni fa.
Un signore dimesso da vari anni dall’ospedale psichiatrico, ospite di
una residenza assistita, gestita da una cooperativa sociale, manifesta segni di
scompenso psichico. Il medico curante, dipendente della AzUSL di Imola,
interviene su indicazione degli operatori della struttura per affrontare la
situazione. Il paziente tuttavia non migliora e uccide un operatore che si è
recato nella sua stanza per somministrargli le medicine. I periti giudicano il
paziente incapace di intendere e volere e
lo inviano nell’Ospedale Giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove
morirà dopo due anni. Il Pubblico Ministero al termine di una complessa
indagine rinvia a giudizio tre persone dell’équipe curante, tra cui il medico
in questione. Data la non imputabilità del paziente, il giudice ritiene il
medico colpevole non tanto di aver modificato la terapia precedente del
paziente causando lo scompenso, di aver sottovalutato la situazione e di non aver
adottato gli interventi necessari, quanto di essere lui stesso responsabile di
omicidio.
In qualità di responsabile del Servizio di Salute Mentale di Imola,
all’epoca dei fatti, ho sempre preferito non entrare nel merito dell’inchiesta
con pubbliche dichiarazioni, sia per una attesa fiduciosa nell’iter processuale
che per la delicatezza della mia posizione che potrebbe apparire viziata da
un’ottica “ Cicero pro domo sua”.
C’è però una questione di carattere generale che in qualche modo
prescinde dall’evento, anche se da esso è stata suscitata ed è la inaspettata
responsabilità attribuita a un medico per il comportamento del suo paziente,
una colpa professionale per cui si è proceduto come se si trattasse di una
colpa omicidiaria. Si badi bene non si parla tanto di imperizia, imprudenza o
negligenza da parte del medico – e in effetti credo giusto che il medico, come
qualunque cittadino, debba essere ritenuto responsabile dei suoi gesti -, ma in
questo caso si parla di responsabilità del medico nell’omicidio compiuto da
altri. Su questa questione intendo fare alcune riflessioni.
Esiste un conflitto tra i familiari della vittima e il medico
dell’omicida che avrebbe potuto essere evitato. Di fronte alla dichiarata non
imputabilità dell’omicida, si esige infatti un altro colpevole. Il giusto indennizzo economico e morale dei
familiari è subordinato al criterio di
colpevolezza di un soggetto (le cause civili, in genere aspettano le sentenze
penali, prima di essere definite). Questa logica comporta un mortificante, a
volte umiliante, iter a cui vengono sottoposti i familiari, che devono
promuovere cause giudiziarie e aspettare anni prima di veder riconosciuti i
loro diritti. Sarebbe diverso se si riconoscesse da subito lo status di
“vittima da incidente”, con un pronto riconoscimento del risarcimento.
La situazione attuale rimanda, a mio modo di vedere, a carenze e a
ritardi con cui si affronta la problematica della salute mentale. Con la legge
di riforma ( la “legge Basaglia” ) si è prodotto un cambiamento di prospettiva riguardo
alla responsabilità del paziente psichiatrico, che non è stata sufficientemente
colta dal nostro ordinamento giuridico. Bisognerebbe articolare una modalità
nuova, più flessibile di imputabilità, che tenga conto dei progressi avvenuti
nel campo psichiatrico. Questo cambiamento in particolare dovrebbe coinvolgere
fortemente gli istituti assicurativi e tutte le istituzioni coinvolte nella
difesa dei diritti individuali e collettivi. Inoltre dovrebbe essere rivisto il
concetto di prevedibilità applicato al campo delle scienze umane, proprio per l’aumento di
complessità che si è venuta creando in questi ambiti e in particolare in quello
della salute mentale. E’ evidente che non intendo minimizzare la responsabilità
individuale: di fronte alla gravità dell’evento in questione è assolutamente
doveroso far luce, senza remore. Ma in assenza di colpa grave, di dolo, di
reiterati comportamenti delittuosi, la valutazione del limite, dell’incidente
dovrebbe far parte della realtà di lavoro. E’ importante costituire una serena
possibilità di riflessione sul lavoro in vista di un progressivo miglioramento
delle pratiche di cura e assistenza, piuttosto che costituire solo un clima
difensivo e paranoico dominato dal timore della sanzione.
Che cosa potrà accadere dopo questa sentenza? Che cosa succederà se
verrà confermata la logica che attribuisce la medico la responsabilità dei
gesti del suo paziente?
Sono convinto che non si avrà un miglioramento di attenzione verso il
paziente: le esigenze terapeutiche saranno sopraffatte dalle esigenze di
cautela e di sicurezza del medico. Aumenteranno le istanze difensive dei
professionisti, sempre meno propensi a lasciarsi coinvolgere nei casi
difficili. Aumenteranno le richieste di protezioni assicurative nella sanità (
come succede negli Stati Uniti, dove esiste ormai la paranoia del
risarcimento), con elevati costi economici, che si rifletteranno in particolare
sul servizio pubblico. Ma soprattutto prenderà sempre più campo la pericolosa e
falsa idea che gli psicofarmaci siano assolutamente risolutivi per il
comportamento umano: il controllo prevarrà sull’idea della cura, il ricovero
ospedaliero sarà preferibile all’assistenza domiciliare. La legge di riforma
psichiatrica – la legge Basaglia – verrà di fatto vanificata. Verrà riaffermata
l’idea della pericolosità del paziente psichiatrico e tutto ciò contribuirà a
rinforzare l’insicurezza sociale percepita.
Ho detto che non voglio entrare nel merito del processo penale, ma una
cosa devo dirla. Trovo profondamente ingiusto e mortificante che le persone che
operano nel campo della salute mentale, quotidianamente sottoposte a situazioni
difficili, schiacciate da contraddizioni sociali, che talora le fanno ritenere
ingiustamente responsabili sia da parte di pazienti che dei loro familiari,
vengano sempre meno protette nell’esercizio della loro professione,
specialmente dalle istituzioni sanitarie. Io posso testimoniare quante
innumerevoli volte gli operatori pubblici della salute mentale abbiano evitato
l’esplodere di situazioni difficili, come abbiano risolto gravi problemi, senza
che nulla apparisse all’esterno, senza il minimo riconoscimento, anche quando
gli interventi andavano molto al di là di quanto era richiesto dal mansionario
professionale. Lo hanno fatto con senso civico partecipando a quel
straordinario processo di affermazione dei diritti che è stata la legge di
riforma psichiatrica. Di fronte al silenzio che accompagna oggi tanto lavoro e
tanto senso civico, c’è la sproporzionata severità che segue ad eventi come
quello in questione. Se vogliamo una sanità pubblica vicina ai bisogni della
gente, dobbiamo preoccuparci di non mortificare l’impegno dei professionisti,
che si trovano in trincea nella quotidiana lotta per la salute, e contrastare fortemente
i processi che cercano di riportare indietro le conquiste di questi anni .
Ernesto
Venturini,
medico psichiatra,
esperto
dell’Organizzazione Mondiale Sanità.