PSICHIATRIA DEMOCRATICA

COLLEGNO

LETTERA APERTA AL SINDACO DI COLLEGNO

UMBERTO D’OTTAVIO

Sono venuto casualmente a conoscenza della prossima cerimonia di "inaugurazione" di una comunità all’interno del complesso ex-OP di Collegno, con la partecipazione di esponenti della regione e dello stesso comune di Collegno.

Personalmente ritenevo che nell’ambito dell’ex-OP ormai fosse stata definitivamente superata la fase di deistituzionalizzazione, come del resto previsto da norme precise ultima delle quali la legge finanziaria del 1997 tra cui la legge 833/78 che vieta esplicitamente il riuso psichiatrico degli ex-OP.

Che cosa si vuol fare, forse precostituirsi alibi per i tempi in cui la legge di riforma verrà affossata? Per il momento mantenere degenti all’interno degli ex-OP dovrebbe comportare sanzioni penali e pecuniarie (confronta la legge finanziaria citata).

Ritengo assai grave tutto ciò. Le belle parole sui diritti dei pazienti si scontrano con una realtà in cui ad essi è destinato ancora una volta l’internamento in "strutture" che per quanto abbellite continuano ad impedire l’esercizio di diritti elementari come abitare una propria casa e fruire di opportunità di scambi sociali ed affettivi liberi da vincoli.

L’episodio appare ancora più significativo in senso deteriore per l’intitolazione della "struttura" ad un personaggio come lo psichiatra manicomiale Bonacossa. Di lui scrive un ricercatore di storia della psichiatria, Fabio Stok: "Bonacossa, a lungo sostenitore della frenologia, non ebbe mai in eccessiva simpatia il ‘traitement moral’. Ritenendo che la ‘causa prossima’ della follia risiedesse ‘in una semplice irritazione, o sopraeccitazione, o flogosi, o i loro effetti organico-vitali su di un solo organo cerebrale, o su una composta di molti di essi’ la cura che egli praticava a Torino era di tipo prevalentemente fisico-farmaceutica, basata sul metodo cosiddetto ‘debilitante’ o antiflogistico, cioè su salassi, digitale, tartaro stibiato, ecc. Molto a lungo venne utilizzato un apparecchio meccanico ideato dal Bonacossa per l’alimentazione forzata, il cui uso, testimonia il Borroni, provocava la rottura sistematica degli incisivi negli individui a cui era applicato".

Forse la scelta del nome di Bonacossa è stata suggerita dal fatto che si è trattato del primo professore di clinica delle malattie mentali a Torino (1850) ma è da rimarcare la battaglia che condusse tenacemente e non fu il solo psichiatra! per rivendicare agli psichiatri, e ad essi soltanto, il diritto ed il potere esclusivo di "occuparsi dei folli", contro le opinioni di magistrati, amministratori, infermieri, gente comune, la quale non doveva e non poteva aver voce in capitolo.

Del resto, a completamento di queste citazioni, un’ultima (di Bonacossa) servirà a consigliare di abbandonare ogni richiamo ad una psichiatria che ha esercitato sui malati un’oppressione ed una persecuzione che forse solo oggi possiamo dire che si sia attenuta ma non spenta. "Un manicomio deve essere considerato non solamente un luogo di sicurezza e di detenzione, ma eziandio quale un sito più appropriato per curare i pazzi che non nelle proprie case, massimamente se poveri; l’accettazione dei soli pazzi furiosi può essere facilmente delusa con interpretarla largamente, nella considerazione giustissima, che colui che è pazzo se non ha commessi ancora atti di furore e pericolosi contro altri e contro se stesso, può tuttavia diventare capace a ogni istante di commetterne, essendovene per lo stato di sua mente disposto".

La costruzione del paradigma manicomiale ha avuto questi fondamenti, in cui la distanza oppressiva dalla povertà e le ipotesi sulla pericolosità del paziente si saldano in una teoria della segregazione di ciò che è espressione di sofferenza e bisogno.

AGOSTINO PIRELLA

Torino, giugno 2002