Questione giustizia
n. 2, 2005 p. 265 ss.
L’amministrazione di sostegno: la “flessibilità” della protezione delle persone non autonome. La procedura, la gestione, i rapporti con gli altri istituti.*
di Fabrizio Amato
1. I punti qualificanti della nuova disciplina / 2.
La “flessibilità” della protezione come “segno” dell’intervento sulla
disabilità / 3. Brevi cenni sulla procedura e sulla gestione
dell’amministrazione / 4. La demarcazione tra amministrazione ed interdizione
e inabilitazione / 5. Prospettive.
1. I punti qualificanti della nuova
disciplina.
Gli
inconvenienti della disciplina in vigore fino al 19 marzo 2004, data di vigenza
della legge n. 6/2004, imperniata sulle figure dell’interdizione e dell’inabilitazione,
sono sempre stati giudicati molteplici: la costosità del processo; la
difficoltà di difesa delll’interessato; la pesantezza delle conseguenze
pratiche di ordine tecnico per l’interdetto, cui di fatto viene impedito di
fare ogni cosa, e per l’inabilitato, che riceve un analogo o molto prossimo
stigma di sostanziale incapacità. Si tratta di etichette odiose, misure
“totalizzanti” (Chiarloni) ed a tempo indeterminato, spesso sproporzionate alle
necessità di protezione del soggetto.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno nasce da oltre un decennio
di riflessioni e studi multidisciplinari e da numerose proposte di legge
presentate nelle passate legislature (Campese) e si pone tra gli obiettivi
espliciti anche quello di superare questa rilevante contraddizione
dell’ordinamento positivo e di realizzare un’operazione di rovesciamento
culturale e valoriale in materia di capacità della persona e di tutela dei
soggetti “svantaggiati”, deboli. La disciplina è stata pensata ed elaborata in
un’ottica di promozionalità dei diritti di tali soggetti, non restringendo il
campo d’intervento ai soli infermi di mente, anzi provando ad intervenire su
una vasta gamma di disagi esistenziali di ordine più complesso, anche fisico.
Molti ed articolati sono i punti cruciali e qualificanti nel nuovo
istituto.
a) Il primo attiene alla nuova direzione dell’intervento pubblico, che, come lascia intendere la finalità definita dall’art. 1, riguarda specificamente il sostegno nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. L’attenzione del legislatore e degli operatori giuridici viene, quindi, spostata in prevalenza sui bisogni concreti di cura della persona, che questa non riesce a soddisfare da sé. La “cura” è assunta dall’ordinamento come “cifra” dell’intervento di tutela della persona priva o limitata nell’autonomia, come nuovo “diritto” dell’individuo in difficoltà. Cambia anche il linguaggio del legislatore: il nuovo art. 410 c.c. indica come dovere dell’amministratore di sostegno la considerazione dei “bisogni” e delle “aspirazioni” del soggetto beneficiario ed impone la necessità che i primi vengano effettivamente soddisfatti, anche in caso di contrasto tra amministratore e beneficiario; il nuovo art. 415 c.c. autorizza provvedimenti urgenti anche d’ufficio del giudice tutelare per la “cura della persona” (riproponendo, in assonanza con l’esperienza innovativa di tanti giudici tutelari, in questa parte la disposizione dell’art. 361 c.c.).
b)
Un secondo fondamentale aspetto caratterizzante l’istituto dell’amministrazione
è rappresentato dal radicale ribaltamento di visuale rispetto agli istituti
dell’interdizione e dell’inabilitazione: non si è in presenza di una
generalizzata o cospicua riduzione di diritti, bensì si ragiona in termini di
aiuto, di sostegno alla persona in difficoltà (Cendon). Questo comporta
(secondo le chiare indicazioni degli artt. 405 e 409 c.c.) che il beneficiario
conservi la capacità per tutti gli atti, non indicati nel decreto istitutivo
del giudice tutelare, che non richiedano la rappresentanza esclusiva (“in nome
e per conto”: art. 405, comma 5, n. 3) o l’assistenza necessaria (comma 5, n.
4) del soggetto chiamato a dare sostegno. Si attua in questo modo un regime di
protezione della persona molto più attento ai reali bisogni ed alle necessità
di essa, tale dunque da “comprimere al minimo i diritti e le possibilità di
iniziativa della persona disabile”, offrendo, tuttavia, a causa della
“ragionevole elasticità” della previsione legislativa, “gli strumenti di
assistenza o di sostituzione” volta a volta necessari per colmare i momenti di
crisi, di inerzia o di inettitudine del disabile (Cendon). Nell’attuazione
della legge si dovrà, pertanto, favorire l’interpretazione in grado di
accrescere o conservare la capacità d’agire (Calò).
L’inabilitazione e l’interdizione, la
riduzione del ricorso alle quali è esplicitamente auspicata dall’art.
c)
Altro aspetto peculiare dell’istituto è la temporaneità della funzione da
svolgere (art.
d)
Il quarto aspetto qualificante l’intervento della disciplina del 2004 attiene
alla valutabilità dell’amministrazione quale istituto principale di protezione
delle persone non autonome. Rilevante risulta già la modifica della dizione del
titolo XII del libro primo del codice civile, che l’art.
In
tema non è secondario segnalare anche la modifica apportata, nella rubrica e
nel testo dell’art. 414 c.c., dall’art.
e)
Di grande rilievo si mostra anche la scelta del giudice investito delle
questioni concernenti l’amministrazione di sostegno. Contrariamente al
preesistente (e confermato) affidamento della materia, attinente alle delicate
questioni implicanti lo status della persona, dell’interdizione e
dell’inabilitazione al Tribunale in composizione collegiale, il legislatore ha
operato la scelta netta e carica di significati di affidare la competenza
sull’amministrazione al giudice tutelare. Procedimento e gestione
dell’amministrazione si svolgono davanti a questo “giudice di prossimità”; un
giudice non soltanto diffuso sul territorio, ma la cui accessibilità è segnata
da sostanziale informalità, procedura snella e semplificata, tendenziale
gratuità e soprattutto aduso ai rapporti dialogici con i servizi e le
istituzioni operanti sul territorio di sua competenza. Su tale scelta si
esprimono perplessità (Nannucci) in merito al rischio di confusione tra ruolo
del giudice tutelare e quello dei servizi territoriali, valorizzati dalla legge
fino a ricomprenderli tra i soggetti che (ex art. 406 c.c.) possono
proporre ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno. Altra
preoccupazione viene palesata, trattandosi pur sempre di una forma di
limitazione della capacità giuridica del soggetto beneficiario, riguardo alla
sottrazione della competenza in materia al Collegio ed all’affidarsi ad una
procedura di volontaria giurisdizione, tanto da far sospettare (Calò) possibili
(a mio avviso, del tutto infondati) rilievi sul piano della legittimità costituzionale.
Le
obiezioni circa la congruità delle opzioni del legislatore appaiono in realtà
ingenerose. Da un lato, rispetto all’esperienza maturata sul campo della
qualità della “giurisdizione” offerta dal giudice tutelare, non può negarsi
essere stato questo giudice non solo in grado di intercettare domande di
giustizia per molti aspetti delicate ed importanti e di avere fornito risposte
nella maggior parte dei casi attente a non confondere i ruoli e le competenze,
ma soprattutto capace di trovare nelle pieghe dell’ordinamento, nelle aporie di
esso (pensiamo ai rapporti “incrociati” con il Tribunale per i minorenni,
all’esperienza in tema di vigilanza ex art. 337 c.c. o, appunto, a
quella precorritrice in tema di amministrazione di sostegno) le risposte
adeguate ai bisogni reali delle persone. Dall’altro, se, certo, la scelta del
giudice monocratico rispetto a quello collegiale può astrattamente comportare
minore ponderatezza di tutela in sede giudiziale e la procedura volontaria
mostrare, per alcuni aspetti, minori garanzie di quella contenziosa, tuttavia,
credo si situi proprio qui uno snodo fondamentale della intera questione: si
passa, infatti, da una tutela delle “cose” (segno in gran parte distintivo
dell’interdizione; scopo precipuo della inabilitazione) ad una tutela della
“soggettività” personale e non si riduce tanto la capacità giuridica, quanto
piuttosto viene, tramite uno statuto giuridico preciso e non estemporanee prese
di contatto, prestata assistenza (anche solo temporanea) al soggetto in
difficoltà per la cura di interessi di
vario tipo e la soddisfazione di bisogni non necessariamente economici. Se così
è, la scelta della “semplificazione” appare pienamente coerente con gli altri
punti qualificanti e permette di evidenziare la peculiare percezione
complessiva della tematica da parte del legislatore, nonché tende a realizzare
una sorta di “azione positiva” generalizzata verso la disabilità di ogni tipo
per garantire un differente approccio al tema da parte di tutti gli operatori,
in primo luogo giuridici.
In
effetti, la novella codicistica impone una rimeditazione culturale prima che
giuridica e rappresenta ulteriore evoluzione del libro primo del codice del
1942, aderente ai mutamenti sociali ed ai principi costituzionali. Certo, questa
lettura della disciplina introdotta dalla l. 6/2004 ribalta gli assetti finora
consolidati della capacità giuridica e porrà una serie di problemi
interpretativi concreti che nemmeno si è in grado di antivedere a “bocce
ferme”. Per tale motivo si mostra fin da ora fondamentale l’opera
interpretativa e latamente “creatrice” della giurisprudenza che verrà.
2. La “flessibilità” della protezione come
“segno” dell’intervento sulla disabilità.
La l. 6/2004 indiscutibilmente si situa nel solco delle discipline emancipatorie introdotte nei decenni passati in materia di disagi psicofisici e che hanno investito in varia misura ogni aspetto della disabilità: dall’antesignana legge Basaglia 180/78, alla legge-quadro 104/92 per l’assistenza, l’integrazione sociale ed i diritti dei portatori di handicaps, alla l. 68/99 che ha ridisegnato l’accesso al lavoro di disabili e categorie equiparate. Un complesso d’interventi caratterizzati da una nozione di protezione “morbida”, attraverso forme aperte, attente a valorizzare le (residue) capacità fisiche ed intellettuali del soggetto in uno sforzo d’integrazione continua nel tessuto sociale del disabile. Una logica d’intervento ispirata, dunque, al modello di soft law la cui peculiarità è rappresentata dall’integrazione virtuosa tra disposizioni primarie di riferimento ed il coinvolgimento operativo di diversi attori sociali ed istituzionali, nonché dello stesso soggetto destinatario di queste nuove ed inclusive forme di tutela non passivizzanti.
L’amministrazione di sostegno fin dalla ricostruzione concettuale assume
questo ruolo flessibile, o “mite” se si preferisce, giacché è implicito per la
sua riuscita operativa che debba trattarsi di un “vestito su misura” volta a
volta “tagliato” secondo esigenze e bisogni del beneficiario. Anche nella
formulazione concreta della l. 6 si colgono i passaggi caratterizzanti di
questa modalità post-moderna d’intendere l’intervento del diritto, della legge.
In primo luogo, si è visto, risulta necessariamente flessibile la prima “costruzione”
dell’amministrazione: cfr. i citati nn. 3 e 4 del comma 5 dell’art. 405 c.c. in
combinato disposto con le previsioni dell’art. 409 relative alla conservazione
della capacità di agire per gli atti che non richiedono rappresentanza o
assistenza dell’amministratore (comma 1) e per gli atti comunque necessari a
soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (comma 2). Ma anche
flessibilità in itinere, evidenziata, ad esempio, dalla continua
possibilità per il giudice tutelare (su istanza dei soggetti abilitati al
ricorso o d’ufficio) di modifica ed integrazione del “catalogo” degli atti
inclusi o esclusi dall’amministrazione (art. 407, comma 4). Ed, inoltre, la
necessità di interventi per la “cura” della persona, che non rimandano soltanto
all’attenzione verso gli interessi economici o lo stato di salute del
beneficiario, bensì presuppongono il continuo raccordo e spesso la codecisione
tra amministratore e beneficiario. Significativa sul punto la disposizione che
impone l’ascolto personale dell’amministrando da parte del giudice tutelare
(art. 407, comma 2), qualificabile come “presupposto necessario” della
pronuncia dell’autorità giudiziaria (Campese), cui si può derogare soltanto in
caso di irreperibilità o rifiuto del beneficiario. Altrettanto eloquente in
argomento la disposizione dell’art. 410, comma
La flessibilità dell’istituto è presupposta e realizzata anche dalla disposizione (n. 6 dell’art. 405, comma 5) che, differentemente dalla sola previsione di rendiconto annuale per tutore e curatore, permette al giudice di fissare l’individuale periodicità di relazione da parte dell’amministratore e non soltanto sull’attività svolta, ma anche sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario. Tale relazione, modulata sulle esigenze concrete del singolo caso, viene ad aggiungersi al rendiconto annuale previsto dall’art. 380 c.c., richiamato dall’art. 411 c.c. tra le disposizioni applicabili anche al nuovo istituto, in quanto compatibili: nella specie, di tale compatibilità non è dato dubitare, chiarendo che, mentre il rendiconto ex art. 380 verterà esclusivamente sulle “risultanze dei conti” (secondo la formula adottata dal d.m. 12 marzo 2004 sulle regole di formazione e tenuta del registro delle amministrazioni), la relazione periodica di cui al citato n. 6 riguarderà in particolare gli aspetti non economico-patrimoniali dell’amministrazione in corso.
La flessibilità è data, altresì, dall’agevole reversibilità dello strumento, nel senso della revocabilità assunta con decreto dal giudice tutelare (acquisite informazioni e disposti mezzi istruttori: art. 413, comma 3). Sotto questo profilo, va di nuovo richiamata la previsione del comma 4 dell’art. 413, che abilita anche d’ufficio il giudice tutelare a dichiarare cessata l’amministrazione quando i risultati conseguiti provino l’inidoneità dello strumento e delle misure adottate a realizzare la “piena tutela” del beneficiario. Anche questa disposizione, pur da intendersi fonte di una successiva maggiore limitazione di capacità per il soggetto, evidenzia la “filosofia” flessibile dell’intervento di protezione sul delicato piano della direzione, della gestione individualizzata della tutela e del riscontro concreto di essa: nell’amministrazione questa deve mirare a valorizzare le residue capacità volitive e fattive del beneficiario, mentre gli strumenti tradizionali, con la forte incapacità derivante per il soggetto, tendono prima e piuttosto a difendere e tutelare gli “altri”, la società o la famiglia. Qualora la prima non sia in grado di assicurare la tutela necessaria, nella determinata situazione, agevole sarà la riconversione della misura.
Il
principio di flessibilità dell’amministrazione di sostegno e di riconoscimento
di una sfera di autonomia del beneficiario ha contaminato anche il regime di
tutele e curatele. Infatti, al Tribunale, in composizione collegiale, è
concessa , ai sensi dell’art. 427, comma 1, c.c. (introdotto dall’art.
Dall’obiettivo
negativo della privazione dei diritti, dunque, si passa alla positiva
valorizzazione delle capacità residue dei disabili, cosicché, nell’applicazione
di ognuno dei tre istituti di protezione, scopo fondamentale rimane “la minore
limitazione possibile della capacità di agire” (art.
In
conclusione, deve segnalarsi, peraltro, che l’ampia nozione della disabilità utilizzata
dall’art. 404 c.c., ovvero il concetto di infermità o menomazione fisica o
psichica, anche parziale o temporanea, rende indispensabile ricondurre tutte le
svariate fattispecie ad una logica di razionalità giustificatrice
dell’intervento pubblico e di quello del giudice in particolare. In tal senso
si coglie il connotato innovativo e flessibile dell’amministrazione sul
peculiare terreno dei destinatari della protezione. L’interdizione e
l’inabilitazione riguardano, come detto, soltanto gli infermi di mente e nessun
altro “debole”. Il nuovo strumento è pensato, al contrario, per venire incontro
a chi si trovi in difficoltà nell’esercizio dei propri diritti. Non soltanto i
disturbati psichici: ma anche – secondo le indicazioni casistiche di Paolo Cendon
- anziani della quarta età, handicappati sensoriali, alcolisti e
tossicodipendenti che non siano nelle condizioni per l’inabilitazione, persone
colpite da ictus cerebrale, malati terminali o, in casi
particolari, extracomunitari in
specifiche condizioni di difficoltà, detenuti. Per queste ragioni nella prassi
occorrerà delineare chiaramente la differenza tra incapacità fisica, impeditiva
per certi atti o talune scelte esistenziali della piena comprensione e
dell’oculata gestione di interessi e bisogni da parte del beneficiario, e forme
d’incapacità, specialmente se parziale, che trovano idonea soluzione per il
“sostegno” del soggetto nell’istituto della rappresentanza volontaria. Questo
non vuol dire ricondurre l’indagine di nuovo sotto lo schema della sola
infermità psichica, bensì presupporre l’effettiva congruità dell’utilizzo
dell’istituto riguardo a situazioni da avviare a soluzione con il
coinvolgimento delle strutture pubbliche. Il punto di vischiosità del sistema
verosimilmente si situa ancora nella “zona grigia”, borderline, tra
capacità ed incapacità, in cui spesso ad impedire la percezione compiuta dei
propri interessi sono carenze di ordine affettivo-relazionale e disturbi di
tipo fisico, e non tare psichiche, ovvero l’abbandono e l’incuria determinati
da derive esistenziali precarie. La disciplina dell’amministrazione, infatti,
riguarda in particolare ogni tipo di debolezza derivante da uno stato, anche
temporaneo, di infermità e di cui possa essere consapevole lo stesso
beneficiario.
Un’area d’ipotizzabile lacuna d’intervento positivo attraverso
l’amministrazione di sostegno viene identificata (Nannucci) nell’assenza di
definitiva risoluzione delle difficili questioni attinenti ai trattamenti
sanitari ed alle scelte consapevoli della adesione o sottrazione ad essi,
ancorché necessari per la sopravvivenza o la migliore qualità della vita della
persona interessata. Soprattutto in relazione a soggetti investiti da
situazioni di fragilità personale, non soltanto di tipo mentale, e per i quali
esorbitante si mostrerebbe l’interdizione. L’argomento merita distinta e
complessa trattazione, in questa sede improponibile, e verosimilmente sarà un
fronte su cui confrontare la “tenuta” delle garanzie individuali alla luce
della nuova impostazione di politica del diritto fondativa dell’istituto in
esame. Va, peraltro, segnalato che, se è ritenuta possibile l’attribuzione
all’amministratore di sostegno del compito di sostituire la persona priva di
autonomia nel compimento di un qualsiasi atto astrattamente demandato al
tutore, deve ritenersi coerente anche attribuire all’amministratore (Pazé)
l’espressione del consenso informato al compimento di atti medici o la scelta
d’inserimento di persona non autonoma in istituti. La questione è certamente
delicata. Tuttavia, la “residua” capacità della persona merita di essere
valorizzata in qualche modo nelle scelte personalissime relative alla salute ed
al luogo di collocazione domiciliare; pertanto, potrebbe risultare preferibile
la nomina di un amministratore di sostegno, con il primario compito di
informare il beneficiario sugli atti da compiere e di tenere conto dei suoi
bisogni, aspirazioni e richieste.
3. Brevi cenni sulla procedura e sulla gestione
dell’amministrazione.
La procedura per la nomina di un amministratore si svolge per intero
davanti al giudice tutelare (del luogo dove l’interessato ha residenza o
domicilio), anche nella ipotesi (art. 405,
comma 2) di promozione nell’ultimo anno prima del compimento della maggiore età
di soggetto minore, affinché l’amministratore operi a decorrere dal
diciottesimo anno, inizio dell’esecutività del decreto del giudice tutelare.
Si
tratta di una procedura di volontaria giurisdizione, anche se recepisce alcune
regole della procedura contenziosa dell’interdizione (art. 720 bis
c.p.c.). Si svolge, tuttavia, in modo sufficientemente informale e
semplificato: nel suo corso il giudice può disporre anche di ufficio, ex
art. 407, comma 3, gli accertamenti di natura medica e gli altri mezzi
istruttori ritenuti utili. La disposizione stabilisce che il giudice tutelare
provvede comunque sul ricorso in caso di mancata comparizione dei soggetti
abilitati dall’art. 406 alla presentazione di esso, con prosecuzione dunque del
procedimento anche esclusivamente su impulso d’ufficio: non è quindi
configurabile l’estinzione di esso per inattività delle parti o rinuncia agli
atti (Campese). Si può ritenere che l’audizione dei ricorrenti, in caso di
impedimento serio, in analogia con quanto disposto al comma 2 per
l’obbligatorio ascolto del beneficiario, possa venire assunta dal giudice
tutelare nel luogo dove essi si trovino. Il dettato della disposizione esclude
sia la delegabilità di questo incombente ad altri soggetti (i servizi
territoriali sostanzialmente), in quanto l’audizione è attività ulteriore
rispetto all’assunzione di informazioni, sia l’utilizzo di strumenti coercitivi
(l’accompagnamento) di coloro che hanno presentato il ricorso ex art.
407 c.c., giacché gli elementi essenziali (“necessari”) per la decisione
possono essere raccolti tramite le informazioni opportune e perché modalità
coercitive si pongono in contrasto con la logica flessibile e “mite” di tutto
l’intervento giudiziale.
L’art. 406 individua la platea dei soggetti, legittimati a proporre
azioni formali per promuovere l’amministrazione di sostegno, la cui
individuazione deve ritenersi tassativa (Campese). Due sono i soggetti
obbligati al ricorso, allorché siano a conoscenza di una situazione
giustificatrice: il pubblico ministero e, novità assoluta di estremo rilievo, i
servizi socio-sanitari. La legittimazione di soggetti pubblici esprime la
volontà di ribadire il compito pubblico della protezione della persona priva in
tutto o in parte di autonomia, provando anche ad ovviare alla diffusa inerzia
del p.m. nella promozione di interdizione e inabilitazione (Pazé). Hanno
facoltà di ricorso l’interessato medesimo (anche se minore, ma
ultradiciassettenne, interdetto o inabilitato), il coniuge, i parenti entro il
quarto grado e gli affini entro il secondo e la persona stabilmente convivente
(art. 417 c.c., come riformulato dall’art.
Tra
i soggetti che hanno la facoltà di presentare ricorso per l’amministrazione va
rimarcata la rammentata indicazione dello stesso beneficiario (la cui
legittimazione presuppone ed attua in sostanza la valorizzazione delle capacità
residue del soggetto) e quella, adesiva ad un concetto evolutivo di famiglia
che l’ordinamento sta poco alla volta realizzando, dei conviventi stabili del beneficiario:
la genericità dell’espressione legislativa (Calò) permette di ricostruire il
passaggio dall’antica e confermata valorizzazione della famiglia “allargata” ad
una nozione post-moderna e nuova di famiglia, comprensiva delle diversità di
orientamenti sessuali.
L’art. 407, comma 1, individua i requisiti essenziali del ricorso, tra i
quali appare di peculiare rilevanza, ai fini della realizzazione degli scopi
dell’amministrazione, l’indicazione delle ragioni per cui si richiede la nomina
dell’amministratore: questo permette fin dal primo momento di esplicitare i
bisogni del beneficiario e di individuare i compiti di sostituzione e
assistenza da attribuire. Le ragioni da indicare sono di ordine psicofisico,
quelle concernenti gli specifici interventi (le attività per le quali occorre
sostituzione o assistenza) e relative alle condizioni di reddito e di
patrimonio del beneficiario ed alle concrete ulteriori necessità di cura dello
stesso. Il ricorso proposto dai servizi territoriali, che avranno già iniziato
a seguire la persona in stato di disagio, sarà verosimilmente accompagnato
dalla relazione illustrativa delle condizioni del soggetto, dell’evoluzione
della situazione, degli interventi svolti e/o programmati, delle modalità
d’intervento ritenute necessarie.
Il
procedimento deve esaurirsi in sessanta giorni ed è disciplinato dal nuovo art.
407 c.c. e dal citato art. 720 bis c.p.c. In applicazione dei principi
del “giusto processo” ricorso e decreto di fissazione dell’udienza di
comparizione vanno portati a conoscenza (a cura della cancelleria, trattandosi
di procedimento di volontaria giurisdizione) della persona interessata, alla
quale deve essere garantito il contraddittorio e la difesa, come agli altri
soggetti “collegati” al beneficiario (coniuge, parenti, affini e convivente),
nonché comunicati al p. m. (Pazé).
L’audizione personale della persona cui il procedimento si riferisce è
obbligatoria edil giudice ha altresì l’onere di recarsi, ove occorra, nel luogo
in cui si trova (art. 407, comma 2). Anche in questo caso, appare contrario a
dettato e spirito della legge provvedere tramite delega al giudice tutelare di
questo luogo (diverso da quello di residenza e domicilio), di norma la dimora
abituale, costituita ad esempio dalla casa di cura o dalla residenza assistita
in cui l’interessato si trovi ricoverato.
L’attività di assunzione delle informazioni (art. 407, comma 3) nel
corso della procedura di nomina dell’amministrazione rappresenta un momento
essenziale per l’affermato rovesciamento culturale portato dalla nuova legge. L’istruttoria avrà il fine specifico
di evidenziare le capacità (anche potenziali) del soggetto in modo da limitarle
nel minore modo possibile (Pazé) ed anche il contenuto del quesito al c.t.u. va
indirizzato all’indagine sul grado di autonomia residua, sugli atti per cui
occorre provvedere alla sostituzione o all’assistenza e su quelli che il
beneficiario può essere ritenuto capace di compiere da solo. Di conseguenza, il
successivo decreto di nomina dell’amministratore deve contenere e disciplinare
i punti essenziali indicati dall’art. 405, comma 5.
a)
L’indicazione dell’amministratore
di sostegno, designabile dallo stesso beneficiario all’atto del ricorso o
precedentemente in vista di una eventuale futura incapacità. In mancanza di
designazione, alla scelta provvede il giudice tutelare, il quale - solo in
presenza di “gravi motivi” (da individuare, ad esempio, nel decesso o
nell’incapacità del designato, negli atti o nelle condotte pregiudizievoli o
confliggenti con gli interessi del beneficiario: Campese) - può disattendere
con provvedimento motivato l’indicazione. Il momento della nomina si pone come
cruciale considerando che la scelta va fatta “con esclusivo riguardo alla cura
e agli interessi della persona del beneficiario” (art. 408, comma 1). Tuttavia,
riverberandosi la “flessibilità” dell’istituto sui diversi contenuti
dell’amministrazione, anche la scelta dell’amministratore è connessa a tali
specifici contenuti ed andrà privilegiata un’opzione di tipo affettivo-relazionale,
in quanto l’individuazione dell’amministratore deve avvenire, ove possibile,
riguardo al coniuge o alla persona stabilmente convivente che possono svolgere
meglio le attività sostitutive di cura, ovvero ai parenti. Possono, peraltro,
essere nominate altre persone idonee. Per individuarle è concesso il ricorso
anche ad operatori del settore, pubblici o privati (servizi e associazioni di
volontariato, con divieto di scegliere tra coloro che già abbiano in cura o in
carico il beneficiario, al fine palese di evitare commistioni di ruoli o
speculazioni), nonché al legale rappresentante o suo delegato delle persone
giuridiche indicate nel titolo II del libro primo del codice (art. 408, comma
4). Scelta siffatta, però, si mostrerà coerente con le finalità della legge
soltanto nei casi in cui l’attività sostitutiva sia in prevalenza di
amministrazione di un patrimonio (Pazé).
b)
La durata dell’incarico
dell’amministratore, a tempo determinato o indeterminato. Si é già valutata la
peculiare novità della durata limitata nel tempo del sostegno, ancorché
prorogabile in persistenza delle ragioni che hanno consigliato l’istituzione
dell’amministrazione.
c) L’oggetto dell’amministrazione: il
momento più significativo del provvedimento, che dà l’indicazione degli atti
che l’amministratore può o deve compiere in nome e per conto del beneficiario,
degli atti che costui può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore e
dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore può sostenere con
l’utilizzo del denaro del beneficiario.
d) La periodicità flessibile, individuabile volta per volta, della relazione,
anche orale, con cui l’amministratore dovrà riferire al giudice in merito
all’attività svolta e riguardo alle condizioni di vita personale e sociale del
beneficiario.
Anche l’attività di
gestione dell’amministrazione di sostegno si svolge davanti al giudice
tutelare, come peraltro avviene per le procedure d’interdizione ed
inabilitazione, la cui pronuncia è di competenza del Tribunale ordinario o del
Tribunale per i minorenni, e sarà scadenzata dalle relazioni pervenute al
giudice tutelare con la periodicità determinata nel decreto istitutivo
dell’amministrazione. Peraltro, il giudice in ogni momento può convocare
l’amministratore allo scopo di ottenere informazioni, chiarimenti e notizie
sulla gestione dell’amministrazione di sostegno e fornire istruzioni inerenti
agli interessi morali e materiali del beneficiario (art. 44, disp. att. c.c.,
modificato dall’art.
Per
quanto riguarda la gestione corrente vanno segnalate, tra le altre, due
questioni di un certo rilievo. La prima riguarda la tempestiva informativa
dell’amministratore verso l’amministrato circa gli atti da compiere, prevista
dal comma 2 dell’art. 410. Sebbene la disposizione non lo preveda, appare
coerente con gli scopi di legge richiedere che almeno ad probationem
l’informativa risulti da atto scritto dell’amministratore, in quanto è questa
comunicazione scritta che consente al giudice ed agli altri interessati di
valutare la genuinità del successivo atteggiamento del beneficiario. La
seconda, di maggiore consistenza, è suscitata dalla previsione dell’art. 409
c.c. che dispone la conservazione da parte del beneficiario della “capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedono” l’intervento di sostituzione o
assistenza dell’amministratore. Tra questi atti possono essere, tuttavia,
ricompresi alcuni che al momento della nomina dell’amministratore nemmeno erano
preventivabili o su cui il giudice abbia considerato necessario un accertamento
successivo in base all’evoluzione delle condizioni complessive del soggetto.
Prima del compimento di questi atti da parte del beneficiario, potrebbe
rivelarsi utile una preventiva azione di tutela a garanzia del medesimo e dei
suoi prossimi congiunti, attraverso l’adizione specifica del giudice, ad
esempio da parte dei parenti più stretti che temano la circonvenzione della
persona: la proposizione di questa sorta di opposizione, rectius
d’intervento preventivo, va considerata ammissibile in virtù della prevista
(art. 407, comma 4) facoltà del giudice tutelare di procedere d’ufficio a
modifica ed integrazione del contenuto del decreto di nomina, che quindi
implicitamente autorizza ad istanze per tali modifiche od integrazioni i
soggetti pubblici e privati abilitati dall’art. 406 c.c. alla presentazione del
ricorso.
4. La demarcazione tra amministrazione ed
interdizione e inabilitazione.
La
linea di demarcazione fra amministrazione ed interdizione è, in primo luogo,
originata dalle definizioni legislative. La nuova disciplina riguarda “le
persone prive in tutto o in parte nell’espletamento delle funzioni della vita
quotidiana” (artt. 1 e
Le aree di amministrazione ed interdizione
sono, dunque, in parte sovrapponibili. Rientrano nell’amministrazione
l’infermità o la menomazione fisica, nonché l’infermità o la menomazione
psichica, che comporti tuttavia un’incapacità anche parziale o temporanea,
mentre l’interdizione presuppone che il soggetto si trovi in stato d’infermità
di mente (e non di corpo) abituale, ma non parziale o temporanea, e lascia
scoperte le situazioni di transitoria incapacità (Calò).
Per quanto attiene all’infermità o menomazione di ordine fisico totale (come quella dei soggetti totalmente paralizzati o che sopravvivono attraverso la respirazione assistita), l’istituto dell’amministrazione presuppone la permanenza di una residua capacità del soggetto (art. 409, commi 1 e 2), in questo caso almeno di ordine psichico, per il compimento (quanto meno di una parte) degli atti della vita quotidiana. Di converso si valuti come l’infermo di mente abituale, che non può provvedere ai propri interessi, possa essere – a secondo della dimensione spaziale e temporale della patologia – tutelato attraverso l’interdizione ovvero l’amministrazione.
Si presenta, dunque, un problema di scelta
tra istituti. Tale scelta, tuttavia, non deve avvenire soltanto secondo i
livelli di incapacità della persona in difficoltà. Il richiamo ai principi
ispiratori della legge, infatti, consente di rinvenire nel legislatore
l’intenzione di calibrare in ogni caso gli interventi con il metro della
concreta idoneità di essi rispetto al soggetto cui apprestare tutela, assumendo
il profilo dell’integrazione sociale (Pazé). Il criterio di distinzione fondato
sull’idoneità dello strumento poggia, in primo luogo, sul dato testuale
dell’applicazione dell’amministrazione di sostegno anche a situazioni molto
gravi, quali gli stati di menomazione psichica assoluta. Ulteriore argomento,
ritenuto ancora più risolutivo (Pazé), è tratto dalla citata disposizione
secondo cui il giudice può dichiarare cessata l’amministrazione quando “si sia
rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario” (art. 413,
comma 4). E’ in sostanza anche quanto si deve dedurre dalla dizione del nuovo
art. 414 c.c. secondo cui una persona “può” (non “deve”) essere interdetta e
solo quando è necessario per la sua “adeguata protezione”. E’ corretto,
pertanto, affermare il principio generale secondo cui la distinzione fra
interdizione ed amministrazione va riferita non alla gravità dell’infermità
mentale del soggetto, ma alla finalità da raggiungere, valutando quale dei due
istituti si mostri maggiormente idoneo
a rispondere ai bisogni del soggetto. Soltanto qualora si palesi necessaria la
sostituzione tendenzialmente generale e permanente della persona priva di ogni
autonomia, troverà applicazione l’interdizione, congrua per le situazioni
disperate, di particolare gravità e di sicura irrecuperabilità. Se al contrario
non occorre la compressione generale di tutte le facoltà lo strumento
preferibile diviene l’amministrazione di sostegno.
L’amministrazione, come segnalato in dottrina e nella prassi
giurisprudenziale antecedente, va applicata se il soggetto va sostituito in
determinati atti o vanno compiuti in sua vece atti o procedure burocratiche,
mentre per tutta una serie di altri atti non si mostra necessaria sostituzione
o assistenza, in quanto è la stessa disabilità ad escludere il pratico
compimento di essi, cioè “funziona da autotutela” (Pazé). La casistica è molto
ampia e viene suggerita dagli infiniti casi della vita, già passati al vaglio
dei giudici: riscossione di pensione o assegni e prelievo dai risparmi per il
pagamento della retta dell’ospizio dell’anziano privo di altri beni;
presentazione delle domande per benefici assistenziali o previdenziali ed
assicurativi; stipulazione di divisioni ereditarie o di vendite; accettazione
di eredità; richiesta giudiziale degli alimenti ai parenti; ma anche ipotesi
d’incapacità assoluta permanente nello stadio terminale della vita o
d’incapacità assoluta ma temporanea (coma profondo dopo un incidente, con
necessità di provvedere a pagamenti delle cure, riscossioni di stipendi);
mancanze parziali di autonomia nei soggetti down.
Tutti casi nei quali è evidente la necessaria limitazione d’invasività
dell’intervento.
Dunque, se effettivamente nella maggior parte dei casi di stato di
infermità di mente non grave lo strumento di protezione più idoneo è diventato
l’amministrazione di sostegno, questo sposta in posizione decisamente marginale
anche il ricorso all’inabilitazione. Lo stato di inabilitato non impedisce che
l’interessato disperda il suo denaro con tante spese voluttuarie rientranti
nell’ordinaria amministrazione e l’esperienza rende edotti della scarsa utilità
dello strumento, perché l'assistenza del curatore non realizza
l’accompagnamento della persona e non assicura il compimento di atti che questa
non voglia o possa effettuare, ed è vero che in fondo una persona in difficoltà
si danneggia maggiormente nel caso di mancato esercizio di diritti o mancato
adempimento di doveri (omesso pagamento di tasse, affitti, bollette, mancata riscossione
della pensione), piuttosto che con il compimento di atti patrimoniali dannosi.
La differenza con l’amministrazione, quindi, si apprezza proprio sulle ragioni
strutturali della cura della persona e dei suoi interessi non patrimoniali,
sostrato culturale (ed ora giuridico) dell’istituto introdotto dalla l. 6/2004.
Se, dunque,
l’inabilitazione è in concreto strumento di tutela in via principale del
patrimonio del soggetto e soltanto di riflesso della persona cui esso
appartiene, si apprezza la distanza abissale, il ribaltamento di prospettiva
dell’amministrazione, tesa alla tutela soprattutto di momenti verosimilmente
estranei, o solo indirettamente collegati, alla sfera della gestione economica
del patrimonio del soggetto beneficiario ed espressione di un’opzione di
politica del diritto speculare rispetto alla precedente.
Riguardo ai rapporti tra istituti di protezione merita una segnalazione
la previsione di due disposizioni che regolamentano i rapporti tra i
procedimenti di interdizione ed inabilitazione, da un lato, e quello per
l’istituzione dell’amministrazione di sostegno, dall’altro. L’art.
Dal
testo legislativo e dalla più volte richiamata finalità complessiva della legge
sembra preferibile per la prima questione ritenere la competenza monocratica
del giudice istruttore (contra Cosentini). Nella specie non si presenta
una questione di competenza per materia, a seguito della confluenza in
Tribunale delle Preture, ed il mero trasferimento del procedimento si fonda sul
giudizio di idoneità della misura e della tutela sostanzialmente estraneo ad un
diretto effetto sullo status della persona: di qui l’inopportunità della
necessità assoluta di una pronuncia collegiale. Non è chiaramente delineato
quale sia il provvedimento che dispone la “trasmissione”; si mostra accettabile
l’interpretazione che lo individua nel decreto motivato (Cosentini, che però lo
ritiene di competenza collegiale, integrato dalle disposizioni urgenti ex
art. 405).
Il
punto effettivamente dirimente risiede nell’intervento urgente: infatti,
qualora venga inciso anche lo status personale della persona attraverso
detti provvedimenti provvisori, risulta conseguente ritenere l’emissione del
decreto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 405, comma 4, e 418, comma
3, c.c., di competenza, anziché del giudice istruttore, del Collegio. E’,
altresì, ipotizzabile il caso in cui una delle parti del procedimento insista
per la pronuncia di interdizione o inabilitazione, per cui necessariamente
collegiale sarà la decisione: soltanto in questo caso viene ritenuta (Pazé)
indispensabile la sentenza (di rigetto), con eventuale contestuale trasmissione
del procedimento al giudice tutelare per la disamina della questione sulla
nomina di un amministratore di sostegno.
Questa duplice competenza organica del tribunale in diversa composizione
non risulta contraddittoria, giacché è fondata sulla diversa “qualità” degli
apprezzamenti della condizione della persona. In entrambe le ipotesi la traslatio
judicii è strutturalmente integrale; essa presuppone un apprezzamento sulla
“eccessività” delle altre misure di protezione rispetto alla condizione
personale dell’interessato. Cosicché, in assenza di contestazioni, con lo
stesso provvedimento di trasmissione si chiuderà la vicenda portata davanti al
tribunale ordinario per le altre misure di riduzione della capacità.
In
questo modo si risponde al secondo quesito, relativo alla sorte del
procedimento d’interdizione o d’inabilitazione. L’enunciata radicale soluzione
si trova, d’altra parte, in speculare armonia con il disposto dell’art. 429,
u.c., introdotto dall’art.
5.
Prospettive.
Alcune valutazioni sono già state espresse ed esse sostanziano le prospettive che si possono individuare in un percorso giurisprudenziale ed interpretativo soltanto all’inizio. Deve essere, peraltro, sottolineato che il concetto stesso di “protezione morbida”, che pervade l’intervento legislativo del 2004, sta ad indicare soprattutto una modalità di tutela aperta, per nulla pesante e burocratizzata, aderente ai compiti propri della sanità pubblica e coerente con lo sviluppo di pratiche sociali promosse dalle aree di confine con la psichiatria.
Certo, il ruolo dell’amministratore di sostegno è tutto da costruire: la
“scommessa”, se si vuole, dell’istituto è quella di riuscire a sostenere
adeguatamente, anche per brevi periodi, gli individui che si vengono a trovare
in difficoltà (per dare altri esempi, i cittadini anziani in particolari e
difficili contesti di vita, le persone affette da disturbi neurologici affetti
da temporanei deficit cognitivi, i politraumatizzati). E’, quindi, il tempo di
passare dalla vecchia tutela, che si riduceva troppo spesso alla semplicistica
quanto infruttuosa gestione della verghiana “robba” allo sviluppo di autentiche
pratiche di diritti, ritagliate sugli effettivi bisogni della persona (Amato,
Lupo).
F. Amato, E. Lupo, L’amministratore di
sostegno: strumento per una nuova qualità della vita, in questa Rivista
2000, 1083.
P. Cendon, Le origini
dell’amministrazione di sostegno, in P. Cendon (a cura di), Persona e
danno, vol. II, Giuffré, 2003, 1393.
G. Lisella, Amministratore di sostegno e
funzioni del giudice tutelare, in www.pol-it.org/ital/lisella.htm.
b) Primi commenti alla legge n. 6/2004
AA.VV., Amministrazione di sostegno,
Ipsoa, 2004.
G. Autorino Stanzione, V. Zambrano, Amministrazione
di sostegno. Commento alla legge 9 gennaio 2004, n. 6, Ipsoa, 2004.
G. Bonilini, A. Chizzini, L’amministrazione
di sostegno, Cedam, 2004.
E. Calò, Amministrazione di sostegno.
Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Giuffré, 2004.
G. Campese, L’istituzione
dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e
inabilitazione, in Fam. Dir. 2004, n. 2, 126.
P. Cendon, Un nuovo diritto per i malati
di mente (e non solo), in www.altalex.com.
S. Chiarloni, Prime riflessioni su alcuni
aspetti della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in Giur.
it. 2004, 2433.
L. Cosentini, Finalità e ratio della
riforma normativa, Relazione al Convegno sulla Legge 9 gennaio 2004, n. 6,
Milano 19 marzo 2004.
M. Dossetti, M. Moretti, C. Moretti, L’amministrazione
di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione,
Giuffré, 2004.
U. Nannucci, Amministratore di sostegno –
pregi e difetti, in www.movimentoperlagiustizia.it.
F.
Tommaseo, L’amministrazione di sostegno: i profili processuali, in Studium
juris 2004, 1061.
*
Lo scritto è la sintesi ragionata
della Relazione alla Giornata di studio, organizzata da Università degli Studi
“Mediterranea” di Reggio Calabria e Ufficio per la formazione decentrata dei
magistrati di Reggio Calabria su La legge 9 gennaio 2004 n. 6
sull’amministratore di sostegno, Reggio Calabria, 22 maggio 2004.