IL MATTINO 10 febbraio 2001

 

DIBATTITO SUI BARBONI: LE CIFRE, LA RETE DI SOSTEGNO

INCHIESTA DI

ENZO CIACCIO


Scusate il mio parlare, sbaglio gli accenti e non ho studiato. Però scrivo i miei pensieri sul giornalino di noi barboni. Scarp de’ tenis, si chiama. Se lo comprate, io ci guadagno qualcosina... sapete, mi chiamo Michela: ho due figli grandi che vanno a scuola e proprio oggi ho pagato 160mila lire di tasse».

Senza dimora. Senza diritti. Senzatetto e senzatutto.

Una splendida chiesetta sconsacrata nel cuore del centro antico: Psichiatria democratica, la Cgil Funzione pubblica e il Dipartimento di Urbanistica dell’Università (con i professori Realfonso e Moccia) lanciano il tema dei «senza casa», dei più esclusi tra gli esclusi, di tutti coloro cui è negato ogni diritto di cittadinanza.

«Vogliamo attraversare tutti i luoghi dell’esclusione per attivare i percorsi che conducono all’inclusione», dice Emilio Lupo, che di Psichiatria democratica è segretario nazionale. Poi, raccontando la molteplicità di apporti al delicato tema, aggiunge: «L’obiettivo è la nascita delle Città sociali, l’unico filo che può riunire le mille facce della marginalità metropolitana».

Alfio Baldi, assessore a Livorno, racconta invece che nella sua città «il trenta per cento del patrimonio edilizio pubblico è destinato ad abitazioni per persone in difficoltà psicofisica». L’assegnazione della casa non la decide più il politico, ma una Commissione costituita da operatori sociali e soggetti di varia matrice. Con questo metodo, in due anni sono stati sistemati novanta homeless locali.

«Nel 18esimo secolo - ricorda invece Maurizio Caiazzo, che con Sasà Di Fede ha svolto la relazione introduttiva - il vagabondo veniva bollato con un marchio a fuoco sulla spalla sinistra. Secondo dati Onu, nel mondo sono 500 milioni le persone che sopravvivono con un dollaro al giorno. I Senza-fissa-dimora, in Usa sono tre milioni. In Italia, 250mila. E mezzo milione sono coloro che vivono in abitazioni che non è possibile definire tali».

«Il problema - dice Sasà Di Fede citando Bukowsky - è avere quattro mura. Se ce le hai, conquisterai il mondo». Dice ancora Di Fede: «I Servizi di diagnosi e cura non dovrebbero limitarsi a fornire psicofarmaci e posti letto. Sarebbe bello se aiutassero l’utente nelle procedure per trovare casa o lavoro e se riuscissero a decifrare la sua profonda sofferenza». E gli immigrati? «Anche per loro - racconta Di Fede - si allestiscono strutture che sembrano più prigioni che luoghi di accoglienza».

E il Comune di Napoli? Il responsabile dei servizi sociali, Carrella, sa che in Europa esistono due milioni e mezzo di Senza-fissa-dimora. Ma non ha idea di quanti siano a Napoli. Un censimento è in corso. Al Dormitorio pubblico, in cinque anni, hanno trovato rifugio 920 barboni. Le donne aumentano. E hanno raggiunto il 29,6 per cento del totale. L’altro dato è che i barboni sono sempre più giovani: il 12 per cento ha tra i 20 e i 29 anni. In cinque anni, il Comune ha trovato lavoro a 23 senza casa. In 46 si sono riuniti alle famiglie di origine, in 6 sono andati in casa di riposo. In 81, invece, sono tuttora al Dormitorio. E che altro fa il Comune di Napoli? Distribuisce cento cestini viaggio al giorno, d’estate regala 500 pasti. È in atto, infine, la ristrutturazione dell’antica struttura: gli stanzoni diventeranno camere a quattro letti, con spazi comuni, palestra e salottini.

Diversi, molto diversi e circostanziati i dati forniti da Giusy Gabriele, assessore al Comune di Roma. Qui esiste una Centrale operativa, che è attiva 24 ore su 24. Sono duemila i barboni romani, solo 150 le donne. Tutti poveri, anzi poverissimi. Nove le unità di strada. Un lavoro di pazienza: in sei mesi, trentamila contatti. E duecento «inserimenti». «Nell’ultimo anno e mezzo - fa sapere la Gabriele - abbiamo procurato lavoro a 460 barboni, che possono contare su dodici piccoli Centri di accoglienza oltre alle Case famiglia e agli affitti che, grazie alla delibera 163, il comune può pagare al loro posto».

Sulle risorse utilizzabili insiste pure il presidente della Commissione antimafia, Lumia, che avverte: «Non siamo all’anno zero. Impariamo a usare le risorse, sapendo che bisogna fare con e non fare per...».

Aldo Policastro, magistrato attento al sociale, punta invece il dito contro quelle forme di accoglienza destinate agli immigrati che, invece che accogliere, creano stati di vera detenzione: «Il dibattito sulla sicurezza - aggiunge - ha finito per produrre più carcere e più esclusione. In fin dei conti, una città non plurale, che emargina invece di aggregare. E poi, l’urbanistica: in molti casi, come a Napoli negli anni ’70 e ’80, ha prodotto effetti a dir poco criminogeni. Ci sarà pure stato qualcuno - fa notare Policastro - che a suo tempo progettò le Vele...».