
Fabrizio Coscia Teresa, dopo aver perso nel
parto il suo secondo figlio, avuto dall’uomo che l’ha
abbandonata, è «impazzita di dolore». Ricoverata
in manicomio, ne esce per un soggiorno in una casa-famiglia, e da
allora, lentamente riannoda i fili della sua esistenza, grazie alla
sua primogenita, che la rende nonna, e felice. Giorgio, impiegato,
trent’anni, una vita spesa tra carceri e ricoveri in cliniche
psichiatriche, si buca saltuariamente, s’impasticca, picchia
la madre. Ma da quando al Centro di Salute Mentale ha trovato qualcuno
che lo ascolta parlare dei suoi libri, della sua musica, dei suoi
film preferiti, le sue condizioni sono migliorate sensibilmente. Franca,
ricoverata in neurochirurgia per un tentativo di suicidio, canta «Stand
by me». E così riesce a dimenticare il suo pensiero fisso,
il suo «vizio assurdo». Il suo sguardo, prima spento dall’angoscia,
si rianima di bagliori improvvisi. Poi c’è Vito, goffo
nei movimenti, l’espressione del volto impoverita da anni e
anni di neurolettici. Sente le voci, ma quando comincia a lavorare
nella bottega del restauro mobili, cambia completamente: diventa agile,
concentrato, preciso. Sono solo alcune delle storie raccontate nel
nuovo numero dei «Fogli di informazione» del Centro di
Documentazione di Pistoia, intitolato Poetiche e politiche di salute
mentale (a cura di Salvatore Di Fede, pagg. 64, euro 8). Il volume
raccoglie storie di pazienti e vite di operatori, imprese comunitarie,
vittorie e sconfitte legate alle lotte di Psichiatria Democratica
per la difesa della legge 180 e la deistituzionalizzazione del modello
psichiatrico. L’esperienza della comunità Condominio,
a Valle di Maddaloni, voluta dalla cooperativa L’Aquilone, le
voci dei pazienti del Centro di Salute Mentale di Matera, i dieci
anni di lavoro territoriale del Jerry Essan Masslo a Scampia, la creazione
del Laboratorio per le città sociali a Napoli, sono alcune
delle testimonianze che il volume propone (con i contributi di Rocco
Canosa, Enzo Ciaccio, Renato Donisi, Giusy Gabriele ed Emilio Lupo)
come altrettanti segnali di resistenza contro l’esclusione sociale.
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